Enrichetta Caracciolo di Forino

Enrichetta Caracciolo di Forino nasce a Napoli il 17 febbraio del 1821, quinta delle sette figlie del maresciallo borbonico Fabio Caracciolo e di Teresa di Benedetto dei conti Cutelli, gentildonna palermitana. Enrichetta viene mandata in convento molto presto: nel 1840 a soli 19 anni, infatti, è costretta dalla madre a prendere i voti presso il Convento di clausura delle suore benedettine di San Gregorio Armeno. Le motivazioni di questa scelta sono dovute alla prematura morte del padre e la conseguente debacle economica della famiglia. Sembra inoltre che Enrichetta mostrasse già allora un animo ribelle alle convenzioni e potesse rappresentare un ostacolo alla madre che stava organizzando il suo secondo matrimonio. Enrichetta descrive nel volume “Misteri del chiostro napoletano” le sue memorie travagliate (1864). Sono pagine in cui racconta la sofferta vita nel convento di clausura, il desiderio di vivere liberamente, l’adesione ai movimenti politici per l’Unità d’Italia e la deposizione definitiva del velo nel 1860 con l’ingresso a Napoli di Giuseppe Garibaldi. Questo volume ha ampia diffusione e ottiene ben presto enorme successo, grazie alla qualità letteraria della sua autrice. Enrichetta trascorre in convento una ventina d’anni durante i quali matura un forte sentimento di anticlericalismo. A partire dal 1849 Enrichetta entra in contatto con gli ambienti della rivoluzione nascondendo “un fascio di carte rivoluzionarie in cifra, un pugnale ed una pistola”, che un cognato le aveva affidato. In convento legge i testi proibiti e viene additata come rivoluzionaria e contraria alla monarchia, sempre più lontana dalla Chiesa e vicina alle reti cospirative. Riesce ad uscire dal convento, ma con alcune difficoltà, nel 1849 quando ottiene il permesso dalla madre di uscire dal monastero per andarsi a curare con i bagni ed entra a tutti gli effetti nella cospirazione antiborbonica. Farà poi ritorno a Napoli clandestinamente dove cambia in sei anni 18 abitazioni e 32 donne di servizio e adotta altre minuziose contromisure per depistare la polizia. Nel 1851 viene arrestata, Enrichetta rifiuta il cibo, tenta il suicidio e riesce a sopravvivere resistendo a un anno di isolamento. Nel frattempo, mentre migliora il rapporto con la madre, che tenta di trovare un modo per farle lasciare il convento, l’arcivescovo di Napoli Sisto Riario Sforza decide di toglierle l’assegno della sua dote di monaca. Enrichetta si libera dal vincolo dei voti soltanto il 7 settembre 1860, il giorno in cui Garibaldi entra a Napoli e ha modo di stringerli la mano durante la messa – tenutasi nel Duomo – di ringraziamento per la fuga di Francesco II di Borbone delle Due Sicilie. È in questo momento che inizia la sua seconda parte della sua vita e si sposa con rito evangelico con il garibaldino di origine tedesca Giovanni Greuther. Diventa autrice di alcuni testi, come “Un delitto impunito: fatto storico del 1838” (1866), il “Proclama alle Donne Italiane” in cui sprona le donne a sostenere la causa nazionale. Prende parte nel 1867 al Comitato femminile napoletano di sostegno al disegno di legge di Salvatore Morelli per i diritti femminili. Nonostante il grande impegno politico e civile per i diritti femminili, l’adesione alla massoneria a molte altre associazioni, il lavoro giornalistico, l’attività letteraria e associativa, Enrichetta viene dimenticata dal nuovo governo italiano e, rimasta vedova nel 1885, muore a Napoli il 17 marzo 1901.

Matilde Serao è una delle figure letterarie e giornalistiche più importanti nella storia di Napoli e dell’Italia. Nata a Patrasso nel 1856 e trasferitasi presto a Napoli, divenne una scrittrice e giornalista di grande successo, fondando nel 1892 il quotidiano Il Mattino, che ancora oggi è uno dei principali giornali della città. Attraverso la sua penna, Matilde Serao raccontò con realismo e sensibilità la vita della Napoli di fine Ottocento, descrivendo le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue sfide sociali. Fu pioniera nel dare voce alle classi popolari e nel denunciare le ingiustizie, diventando un punto di riferimento per la stampa italiana. La sua carriera è segnata da un’instancabile passione per la cultura e il progresso, e il suo lavoro ha aperto la strada a molte donne nel mondo del giornalismo e della letteratura. Matilde Serao resta un simbolo di forza, talento e modernità, una donna che ha contribuito a costruire l’identità culturale di Napoli e dell’Italia contemporanea.

  Click to listen highlighted text! Matilde Serao è una delle figure letterarie e giornalistiche più importanti nella storia di Napoli e dell’Italia. Nata a Patrasso nel 1856 e trasferitasi presto a Napoli, divenne una scrittrice e giornalista di grande successo, fondando nel 1892 il quotidiano Il Mattino, che ancora oggi è uno dei principali giornali della città. Attraverso la sua penna, Matilde Serao raccontò con realismo e sensibilità la vita della Napoli di fine Ottocento, descrivendo le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue sfide sociali. Fu pioniera nel dare voce alle classi popolari e nel denunciare le ingiustizie, diventando un punto di riferimento per la stampa italiana. La sua carriera è segnata da un’instancabile passione per la cultura e il progresso, e il suo lavoro ha aperto la strada a molte donne nel mondo del giornalismo e della letteratura. Matilde Serao resta un simbolo di forza, talento e modernità, una donna che ha contribuito a costruire l’identità culturale di Napoli e dell’Italia contemporanea.

Convento di San Gregorio Armeno

Alcune monache dell’Ordine di San Basilio, fuggite da Costantinopoli dopo il 726 a causa della persecuzione iconoclasta dell’imperatore Leone III l’Isaurico, giunsero a Napoli e si rifugiarono nella diaconia di San Gennaro all’Olmo. Decisero, con l’appoggio del vescovo-duca Stefano II, di fondare nei pressi un primo monastero intitolandolo al santo vescovo di Armenia, San Gregorio. Nel 1025 Sergio, duca di Napoli, unì al monastero quello di San Pantaleone: le due strutture conventuali furono collegate attraverso un cavalcavia che ancora oggi caratterizza la strada di San Gregorio Armeno. Il nuovo monastero, che abbracciò la regola benedettina, accoglieva le fanciulle delle famiglie nobili della città. Dopo meno di un secolo si contavano circa 80 religiose, comprese le novizie e le converse. Il monastero non aveva le forme attuali, ma si presentava piuttosto come una cittadella in cui le religiose avevano delle abitazioni autonome, recintate, in cui vivevano con le converse che provvedevano a servire le signore, e qualche giovane familiare che entrava in monastero già dalla più tenera età. Verso la fine del Cinquecento le cose cambiarono, le nuove norme tridentine volevano per le religiose una vera vita di clausura e soprattutto un regime in cui si facesse una vera vita comunitaria. Per attuare tali trasformazioni bisognava non solo cambiare le coscienze, ma smantellare anche le strutture architettoniche esistenti. La badessa Lucrezia Caracciolo inaugurò la via del cambiamento: fu edificato un nuovo corpo di fabbrica, con stanze affacciate su una loggia prospiciente il chiostro, il tutto recintato da un alto muraglione e da inferriate; la chiesa dal centro del monastero fu spostata ed ebbe una apertura esterna per consentire alla gente di partecipare alle funzioni religiose mentre le monache potevano assistere nascoste dietro spesse gelosie o dal coro ben chiuso verso l’esterno, un luogo più adatto alle religiose anziane o ammalate. Il nuovo regime monastico non fu accettato da tutte, alcune monache lasciarono il convento, dove invece arrivarono (assieme alle reliquie conservate nei loro monasteri) altre sorelle provenienti dai monasteri soppressi di Sant’Arcangelo a Baiano, Santa Maria Donnaromita e di Santa Patrizia. Il complesso è tra i più antichi e ricchi di opere d’arte e tra i meglio conservati della città. Quello che oggi si osserva è l’aspetto che gli fu dato all’epoca della Controriforma, grazie alle imponenti opere di ristrutturazione volute fortemente dalla badessa Lucrezia Caracciolo e affidate a Giovan Battista Cavagna che rispettò in pieno i dettami controriformati, demolendo le strutture primitive, causando così la perdita delle vestigia bizantine. Il monastero conserva tuttora, con le sue altissime mura e le inferriate, il carattere antico di strettissima clausura. Il chiostro, cui si accede dopo il campanile della chiesa tramite una lunga scala che porta al monastero, è in eccezionale stato di conservazione e fu aperto alla cittadinanza nel 1922 quando fu abolita la clausura. Iniziato nel 1572 da Giovan Vincenzo della Monica, accoglie al centro una splendida fontana con le statue marmoree di Matteo Bottigliero del 1733, raffiguranti l’ “Incontro di Cristo con la Samaritana al pozzo”. Questo spazio, un tempo riservato alla vita monastica, offre oggi un'incantevole testimonianza dell'architettura conventuale napoletana. Una caratteristica peculiare di questo convento è l’imponente rete idrica ideata per usufruire delle acque provenienti dal condotto del Carmignano e di quelle piovane in piena autonomia; su di un muro affrescato con l’immagine di San Bartolomeo sono raffigurate le cinque chiavi che regolavano lo zampillare dell’acqua nella fontana al centro del chiostro. Sulla sinistra dell’ingresso si può accedere al “coro delle monache” che presenta stalli intagliati del XVI sec. Da qui si può passare in altri ambienti del monastero, tra cui il cosiddetto “corridoio delle monache”, con altarini arricchiti nel tempo da opere d’arte di ogni epoca (che portavano in dote le fanciulle appartenenti a illustri famiglie che prendevano i voti) che costituiscono un eccezionale “museo della devozione” perfettamente conservato; tra questi ambienti spicca il “salottino della badessa”, gioiello rococò. Lungo il lato occidentale del chiostro, di fronte alla cappella dell’Idra, si trovano il refettorio e l’antico forno, del quale le monache potevano usufruire per preparare i loro famosi dolci. na.