Guerriera Guerrieri

La signora dei libri Guerriera Guerrieri. Nel nome e nel cognome traccia dell'evento che ha segnato la vicenda professionale della "Signora dei libri". Nella firma il legame con il suo maggior merito: aver salvaguardato il patrimonio bibliografico minacciato dalla guerra (Seconda Guerra Mondiale ndr.), il che le valse, nel 1968, la medaglia d'oro per i benemeriti della cultura e dall'8 marzo 2023 l'intitolazione del monumentale Salone di Lettura della Biblioteca Nazionale di Napoli.
Un nome, un destino, per una donna che con coraggio, tenacia e lungimiranza ha affrontato il pericolo delle bombe e ha fronteggiato prima gli occupatori tedeschi, ex alleati in ritirata, poi le forze americane e anche qualche malintenzionato napoletano in cerca di qualcosa da poter rivendere.
Nata in Toscana, a Cortona, nel 1902, si trasferisce a Napoli dove studia presso l'Archivio di Stato dove si diploma in Paleografia e dottrina archivistica per poi proseguire all’Università degli Studi di Napoli Federico II conseguendo la laurea in Lettere Classiche nel 1926. Assunta presso la Biblioteca Nazionale di Napoli “Vittorio Emanuele III”, ne diviene la direttrice dagli inizi degli anni ‘40 al 1967 e negli anni bui della guerra, si occupa del trasporto e della messa in sicurezza dei materiali librari nei vari ricoveri dislocati sul territorio campano come il Monastero di Montevergine e il Palazzo abbaziale di Loreto. Le vicende personali e storiche di quegli anni sono ricostruite in maniera dettagliata nel Diario di guerra 1943-1945, un resoconto analitico di quei terribili momenti, che viene pubblicato solo nel 1980, anno della sua scomparsa. Dal 1952 al 1972, inoltre, insegna Biblioteconomia alla Scuola di perfezionamento per bibliotecari e archivisti della Federico II e, in seguito, nella Facoltà di magistero dell'Università di Salerno. Nel dopoguerra promuove la costituzione dell' AIB (Associazione Italiana Biblioteche) di cui ricopre la presidenza ininterrottamente dal 1948 al 1976.
Come ha affermato Maria Iannotti, direttrice della Biblioteca Nazionale, in occasione dell’intitolazione del Salone di Lettura, la Guerrieri è stata: “...[...]Un esempio di donna combattiva, tenace e determinata, ma anche di appassionata studiosa e bibliotecaria. Il suo impegno e la sua dedizione nello svolgere fino agli ultimi giorni della sua vita la sua missione di bibliotecario ci ricordano che per svolgere con competenza il nostro lavoro, non si può prescindere dall’impegno civile, che significa promuovere il diritto alla lettura, alla conoscenza ed informazione come diritto di tutti."

Nel contesto della Roma di fine Cinquecento, una città in piena trasformazione sotto l’impulso urbanistico di Papa Sisto V nasceva l'8 luglio 1593 Artemisia Gentileschi. Questa era una Roma che stava ridefinendo il proprio volto, con la creazione di nuove arterie come la Via Sistina, destinate ad ospitare edifici sacri e palazzi che richiamavano artisti da ogni angolo d'Italia. In questo fermento creativo, Artemisia, figlia d'arte, avrebbe mosso i primi passi, destinata a lasciare un segno indelebile nella storia della pittura. Figlia del pittore Orazio Gentileschi, celebre artista di origine pisana e Prudenzia Montoni, che muore quando lei aveva 12 anni, Artemisia intraprese il suo apprendistato artistico nella bottega del padre dimostrando precocemente un talento che avrebbe sfidato le convenzioni della sua epoca dominata dagli uomini. La famiglia di Artemisia, seppur di modeste risorse, le permise di intraprendere la carriera artistica grazie al padre. Artemisia mostrò un precoce talento, ricevendo la prima formazione direttamente da Orazio. In seguito, per perfezionare le sue capacità, il padre le affidò insegnanti esterni, tra cui Agostino Tassi, che le impartì lezioni di prospettiva pittorica. La sua carriera iniziale fu segnata sia da una fioritura artistica che da un profondo trauma personale. A soli 17 anni, nel 1610, completò la sua prima opera conosciuta, Susanna e i Vecchioni. Questo dipinto, che raffigura una Susanna vulnerabile assediata da due anziani uomini lascivi, si distingue per la sua intensa emotività e la realistica rappresentazione dell'angoscia della protagonista. Un momento cruciale nella sua vita e nella sua arte si verificò nel 1611, quando subì violenza fisica per mano di Agostino Tassi. Il successivo processo pubblico del 1612, in cui Artemisia testimoniò coraggiosamente nonostante avesse subito torture per verificare il suo racconto, divenne un evento notorio. Tassi fu condannato, ma riuscì a eludere la pena a causa degli appoggi politici di cui godeva, mentre Artemisia fu costretta a lasciare la capitale per salvaguardare il proprio onore e la carriera appena avviata. Poco dopo il processo, nel novembre 1612, Artemisia sposò Pierantonio Stiattesi, un artista fiorentino, e la coppia si trasferì a Firenze nel 1614. A Firenze, Artemisia trovò la protezione della potente famiglia Medici, inclusi Cosimo II de' Medici e sua moglie Cristina di Lorena. Ad Artemisia è concesso di lavorare come artista perché il marito è egli stesso pittore. A Firenze ha l’occasione di conoscere Galileo Galilei e di stringere amicizia con Michelangelo Buonarroti il giovane per il quale dipinge l’Allegoria dell’inclinazione. La sua statura artistica fu riconosciuta nel 1616, quando divenne la prima donna ammessa alla prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze, dove rimase iscritta fino al 1620, anno in cui tornò a Roma. Dopo un periodo a Roma, durante il quale dipinse opere come il Ritratto di Gonfaloniere, Artemisia si trasferì a Venezia nel 1627, e poi a Napoli nel 1630. A Venezia le commissionano molti quadri e collabora con Nicholas Lanier, agende incaricato dal re d’Inghilterra di acquistare opere d’arte in territorio italiano. Napoli si rivelò un vivace centro artistico, e lei si affermò rapidamente come una figura di spicco, nonostante avesse espresso il desiderio di tornare a Roma. Opere notevoli del suo periodo napoletano includono l’Annunciazione e il suo celebre Autoritratto come allegoria della Pittura dove rappresenta sé stessa mentre è intenta a lavorare. Nel 1636, Artemisia si recò a Londra, raggiungendo il padre Orazio, che era stato chiamato dal re Carlo I. Insieme, collaborarono a progetti come Il Trionfo della Pace e delle Arti per la Queen's House a Greenwich. Dopo la morte di Orazio a Londra nel 1639, Artemisia tornò a Napoli, dove rimase per il resto della sua vita. Sebbene si sappia meno dei suoi ultimi anni, continuò a lavorare, ricevendo commissioni da mecenati come Antonio Ruffo. La morte di Artemisia Gentileschi a Napoli avvenne qualche tempo dopo il 1653, forse nel 1654 o nel 1656, anche se la data esatta rimane incerta. Le opere più significative di Artemisia risuonano spesso con le sue esperienze personali, in particolare i suoi primi dipinti. Giuditta che decapita Oloferne, di cui esistono due versioni (una del 1612 circa e un'altra realizzata a Firenze, entrambe con una violenza sorprendente e un'intensità drammatica che molti critici hanno interpretato come una rielaborazione del suo trauma), è emblematica del suo approccio. A quel tempo, le poche pittrici note erano spesso limitate a dipingere solo nature morte e ritratti, sebbene raggiungessero risultati eccellenti in questi campi. Artemisia, invece, sviluppò la sua arte partendo dalla lezione del padre Orazio, ma se ne distaccò notevolmente. Mentre il padre prediligeva un realismo idealista di stampo toscano, lo stile di Artemisia si distingueva per la sua forte impronta realistica e teatrale. Artemisia si dedicava spesso a soggetti tratti dall'Antico Testamento, focalizzandosi non tanto sulla pura vendetta femminile contro la prevaricazione maschile, quanto piuttosto sulla ricerca di giustizia compiuta da donne. Il suo tema più celebre è senza dubbio Giuditta e Oloferne, di cui esistono due versioni quasi identiche. Le figure femminili dipinte da Artemisia si discostano nettamente dai modelli del suo tempo, che spesso le relegavano a due sole rappresentazioni: distaccato e angelico o terreno e corrotto. Nelle sue opere, le donne sono sempre protagoniste attive, che reagiscono con forza o esprimono apertamente il loro sdegno e giudizio morale. In questo modo, l'artista invita chi osserva il quadro a farsi partecipe e a giudicare l'affronto rappresentato.

  Click to listen highlighted text! Nel contesto della Roma di fine Cinquecento, una città in piena trasformazione sotto l’impulso urbanistico di Papa Sisto V nasceva l8 luglio 1593 Artemisia Gentileschi. Questa era una Roma che stava ridefinendo il proprio volto, con la creazione di nuove arterie come la Via Sistina, destinate ad ospitare edifici sacri e palazzi che richiamavano artisti da ogni angolo dItalia. In questo fermento creativo, Artemisia, figlia darte, avrebbe mosso i primi passi, destinata a lasciare un segno indelebile nella storia della pittura. Figlia del pittore Orazio Gentileschi, celebre artista di origine pisana e Prudenzia Montoni, che muore quando lei aveva 12 anni, Artemisia intraprese il suo apprendistato artistico nella bottega del padre dimostrando precocemente un talento che avrebbe sfidato le convenzioni della sua epoca dominata dagli uomini. La famiglia di Artemisia, seppur di modeste risorse, le permise di intraprendere la carriera artistica grazie al padre. Artemisia mostrò un precoce talento, ricevendo la prima formazione direttamente da Orazio. In seguito, per perfezionare le sue capacità, il padre le affidò insegnanti esterni, tra cui Agostino Tassi, che le impartì lezioni di prospettiva pittorica. La sua carriera iniziale fu segnata sia da una fioritura artistica che da un profondo trauma personale. A soli 17 anni, nel 1610, completò la sua prima opera conosciuta, Susanna e i Vecchioni. Questo dipinto, che raffigura una Susanna vulnerabile assediata da due anziani uomini lascivi, si distingue per la sua intensa emotività e la realistica rappresentazione dellangoscia della protagonista. Un momento cruciale nella sua vita e nella sua arte si verificò nel 1611, quando subì violenza fisica per mano di Agostino Tassi. Il successivo processo pubblico del 1612, in cui Artemisia testimoniò coraggiosamente nonostante avesse subito torture per verificare il suo racconto, divenne un evento notorio. Tassi fu condannato, ma riuscì a eludere la pena a causa degli appoggi politici di cui godeva, mentre Artemisia fu costretta a lasciare la capitale per salvaguardare il proprio onore e la carriera appena avviata. Poco dopo il processo, nel novembre 1612, Artemisia sposò Pierantonio Stiattesi, un artista fiorentino, e la coppia si trasferì a Firenze nel 1614. A Firenze, Artemisia trovò la protezione della potente famiglia Medici, inclusi Cosimo II de Medici e sua moglie Cristina di Lorena. Ad Artemisia è concesso di lavorare come artista perché il marito è egli stesso pittore. A Firenze ha l’occasione di conoscere Galileo Galilei e di stringere amicizia con Michelangelo Buonarroti il giovane per il quale dipinge l’Allegoria dell’inclinazione. La sua statura artistica fu riconosciuta nel 1616, quando divenne la prima donna ammessa alla prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze, dove rimase iscritta fino al 1620, anno in cui tornò a Roma. Dopo un periodo a Roma, durante il quale dipinse opere come il Ritratto di Gonfaloniere, Artemisia si trasferì a Venezia nel 1627, e poi a Napoli nel 1630. A Venezia le commissionano molti quadri e collabora con Nicholas Lanier, agende incaricato dal re d’Inghilterra di acquistare opere d’arte in territorio italiano. Napoli si rivelò un vivace centro artistico, e lei si affermò rapidamente come una figura di spicco, nonostante avesse espresso il desiderio di tornare a Roma. Opere notevoli del suo periodo napoletano includono l’Annunciazione e il suo celebre Autoritratto come allegoria della Pittura dove rappresenta sé stessa mentre è intenta a lavorare. Nel 1636, Artemisia si recò a Londra, raggiungendo il padre Orazio, che era stato chiamato dal re Carlo I. Insieme, collaborarono a progetti come Il Trionfo della Pace e delle Arti per la Queens House a Greenwich. Dopo la morte di Orazio a Londra nel 1639, Artemisia tornò a Napoli, dove rimase per il resto della sua vita. Sebbene si sappia meno dei suoi ultimi anni, continuò a lavorare, ricevendo commissioni da mecenati come Antonio Ruffo. La morte di Artemisia Gentileschi a Napoli avvenne qualche tempo dopo il 1653, forse nel 1654 o nel 1656, anche se la data esatta rimane incerta. Le opere più significative di Artemisia risuonano spesso con le sue esperienze personali, in particolare i suoi primi dipinti. Giuditta che decapita Oloferne, di cui esistono due versioni (una del 1612 circa e unaltra realizzata a Firenze, entrambe con una violenza sorprendente e unintensità drammatica che molti critici hanno interpretato come una rielaborazione del suo trauma), è emblematica del suo approccio. A quel tempo, le poche pittrici note erano spesso limitate a dipingere solo nature morte e ritratti, sebbene raggiungessero risultati eccellenti in questi campi. Artemisia, invece, sviluppò la sua arte partendo dalla lezione del padre Orazio, ma se ne distaccò notevolmente. Mentre il padre prediligeva un realismo idealista di stampo toscano, lo stile di Artemisia si distingueva per la sua forte impronta realistica e teatrale. Artemisia si dedicava spesso a soggetti tratti dallAntico Testamento, focalizzandosi non tanto sulla pura vendetta femminile contro la prevaricazione maschile, quanto piuttosto sulla ricerca di giustizia compiuta da donne. Il suo tema più celebre è senza dubbio Giuditta e Oloferne, di cui esistono due versioni quasi identiche. Le figure femminili dipinte da Artemisia si discostano nettamente dai modelli del suo tempo, che spesso le relegavano a due sole rappresentazioni: distaccato e angelico o terreno e corrotto. Nelle sue opere, le donne sono sempre protagoniste attive, che reagiscono con forza o esprimono apertamente il loro sdegno e giudizio morale. In questo modo, lartista invita chi osserva il quadro a farsi partecipe e a giudicare laffronto rappresentato.

Biblioteca Nazionale di Napoli – Un luogo di sapere e memoria per Guerriera Guerrieri

La Biblioteca Nazionale di Napoli, custode di una ricchissima collezione di manoscritti, libri e documenti storici, rappresenta un luogo simbolico per la figura di Guerriera Guerrieri. Donna di grande cultura e intelligenza, Guerriera incarna lo spirito della conoscenza e della ricerca, valori che questa istituzione promuove da secoli. All’interno delle sue sale, tra antichi testi e preziosi archivi, si può immaginare il legame ideale con Guerriera, la cui storia e la cui eredità si intrecciano con la voglia di conservare e tramandare il sapere nel cuore pulsante di Napoli. li.

Matilde Serao è una delle figure letterarie e giornalistiche più importanti nella storia di Napoli e dell’Italia. Nata a Patrasso nel 1856 e trasferitasi presto a Napoli, divenne una scrittrice e giornalista di grande successo, fondando nel 1892 il quotidiano Il Mattino, che ancora oggi è uno dei principali giornali della città. Attraverso la sua penna, Matilde Serao raccontò con realismo e sensibilità la vita della Napoli di fine Ottocento, descrivendo le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue sfide sociali. Fu pioniera nel dare voce alle classi popolari e nel denunciare le ingiustizie, diventando un punto di riferimento per la stampa italiana. La sua carriera è segnata da un’instancabile passione per la cultura e il progresso, e il suo lavoro ha aperto la strada a molte donne nel mondo del giornalismo e della letteratura. Matilde Serao resta un simbolo di forza, talento e modernità, una donna che ha contribuito a costruire l’identità culturale di Napoli e dell’Italia contemporanea.