Marianna De Crescenzo

Per i vicoli di Napoli, nella metà dell’Ottocento, si accalcava una folla stanca di individui di ogni sorta che si aggiravano e s’industriavano come potevano, frotte di senza lavoro fisso vagavano, cercando di sbarcare il lunario. Era il popolo che mangiava pane, pesce salato o magari carne, solo quando avanzata ai ricchi e spesso putrefatta; la plebe che beveva acqua inquinata o vino adulterato. Si trattava di uomini e donne che vivevano alla giornata, cercando di scansare vaiolo e colera, eppure per le strade, nelle taverne e nei mercati, divennero recettivi all’annuncio di riscatto e libertà dei patrioti, Questo popolo minuto, spesso dimenticato nella narrazione ufficiale, fu in realtà protagonista essenziale degli eventi che portarono all'Unità d'Italia, e la Sangiovannara ne fu una delle interpreti più autentiche e carismatiche. Marianna de Crescenzo nacque il 13 aprile 1817 in via Pignasecca 23. La sua famiglia apparteneva al quartiere di pescatori – ma anche di prime industrie – di San Giovanni a Teduccio e per questo motivo divenne nota come la Sangiovannara. Marianna divenne un faro di speranza e un'instancabile animatrice del fermento risorgimentale, distinguendosi già durante il moto costituzionale del 1848 quando guidò numerose manifestazioni popolari con la fascia tricolore sul petto. Vedova di un soldato borbonico, Gennaro Gioia, e risposatasi con Luigi Montella, Marianna gestiva una taverna nella Pignasecca. Questa locanda divenne un vero e proprio covo dei liberali e un punto nevralgico della cospirazione. Bastava un suo segnale e la famosa via Toledo si trasformava in una bolgia, con donne strepitanti che scendevano dai vicoli. In questo modo, assecondava i progetti di quanti tramavano nell'oscurità per la causa costituzionale e italiana. La Sangiovannara era una collaboratrice efficientissima: pronta ad aiutare i disertori, a fissare riunioni in posti segreti e sicuri, e a fare da tramite per le comunicazioni dei prigionieri politici. Tra l'estate e l'autunno del 1860, la sua figura divenne un'autentica celebrità mediatica per la stampa internazionale. Di lei, il giornale parigino l’Illustration scrive: “Marianna ha una grande nobiltà di fisionomia. Passa dal voluttuoso languore della pigra napoletana, alla cupa energia del cospiratore. Alterna il sorriso della giovane al ringhio del lupo affamato. Il suo colorito si accende o si fa livido, il suo sangue si agghiaccia o ribollisce”. Come un oracolo, o meglio, come figura provvidenziale per la popolazione del quartiere, la Sangiovannara "distribuisce soccorsi e dà notizie, chiarisce dubbi, spiega la situazione, fa la carta del giorno ai movimenti popolari, indica al popolo il suo ruolo, gli dettaglia i suoi interessi e le ragioni per cui gli conviene lasciare i Borboni e seguire i signori: un re galantuomo ‘e Garibaldi". La Sangiovannara aderì con entusiasmo al garibaldinismo e fu attivissima nell'accoglienza del generale. Le cronache la descrivono in prima fila tra il popolo festante ad accogliere l'ingresso di Garibaldi nella città il 7 settembre 1860, indossando, come suo solito, uno scialle avvolto sulle spalle e un pugnale alla cintura. Fu portata in trionfo dai suoi concittadini e spianò di fatto l'ingresso ai garibaldini. Inoltre, guidò le feste seguite all'arrivo dell'eroe dei due mondi a Napoli e fu lei ad accompagnarlo nella visita alla Madonna di Piedigrotta. I media del tempo la descrissero come una donna forte, animosa e laconica, che indossava abiti scuri senza alcuna eleganza e portava alla cintola due rivoltelle e un pugnale, testimoniato da fotografie, ritratti litografici e resoconti dell'epoca. La sua figura evocava una rappresentazione virilizzante dell'amazzone guerriera, che suonava perturbante per l'immaginario maschile del tempo. Per il suo contributo alla causa liberale e nazionale, Marianna vide riconoscersi dal governo garibaldino una pensione di 12 ducati al mese per essere stata "in tempi di tenebrosa tirannide" un "esempio imitabile di coraggio civile e di costanza nel propugnare la causa della libertà". Marianna De Crescenzo morì a Napoli il 19 maggio 1869, in una casa al numero 22 del Grottone di Palazzo, l'attuale via Gennaro Serra. Esaltata dagli scrittori di parte democratica e condannata da quelli borbonici, la sua biografia rimase a lungo avvolta dal mistero. Mitizzata nel periodo dell'Unità d'Italia, scivolò poi nell'oblio, ma la sua figura rimane un simbolo vibrante della partecipazione femminile e popolare al Risorgimento italiano.

Matilde Serao è una delle figure letterarie e giornalistiche più importanti nella storia di Napoli e dell’Italia. Nata a Patrasso nel 1856 e trasferitasi presto a Napoli, divenne una scrittrice e giornalista di grande successo, fondando nel 1892 il quotidiano Il Mattino, che ancora oggi è uno dei principali giornali della città. Attraverso la sua penna, Matilde Serao raccontò con realismo e sensibilità la vita della Napoli di fine Ottocento, descrivendo le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue sfide sociali. Fu pioniera nel dare voce alle classi popolari e nel denunciare le ingiustizie, diventando un punto di riferimento per la stampa italiana. La sua carriera è segnata da un’instancabile passione per la cultura e il progresso, e il suo lavoro ha aperto la strada a molte donne nel mondo del giornalismo e della letteratura. Matilde Serao resta un simbolo di forza, talento e modernità, una donna che ha contribuito a costruire l’identità culturale di Napoli e dell’Italia contemporanea.

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La Pignasecca

Nel cuore pulsante di Napoli, tra la veracità di Spaccanapoli e l'eleganza di Via Toledo, si snoda la Pignasecca. Questo pittoresco nome identifica una zona centralissima della città a ridosso dell'attuale piazza Salvo D'Acquisto, un tempo nota come Largo della Carità. Non si tratta solo di un crocevia obbligato per chi da Montesanto si dirige verso il centro, ma di un vero e proprio spaccato sulla città, un quartiere tra i più affollati e variopinti, dove bancarelle, pescherie e alti palazzi regalano frescura anche nelle giornate più afose. La sua peculiare vitalità è intrisa di una storia che affonda le radici in leggende e tradizioni secolari: lo stesso nome "Pignasecca" è avvolto in un velo di mistero e folklore, richiamando alla mente storie che vedono protagonisti i napoletani e...dispettose gazze ladre! Il suo toponimo affonda le radici nel lontano '500, quando la zona sorgeva fuori dalle mura cittadine ed era costituita da orti, che i napoletani chiamavano "Biancomangia". Tutto ciò fino a quando la Municipalità, per volere di Don Pedro de Toledo, espropriò i campi per costruirvi Via Toledo, con l'intento di creare una via di comunicazione diretta con il mare. A quella decisione sopravvisse un solo pino – in dialetto "pigna” - che, però, gradualmente seccò, generando il nome “Pignasecca”. Secondo una seconda versione della leggenda, invece, le gazze ladre che popolavano il bosco di “Biancomangiare” entravano furtive nelle abitazioni dei napoletani rubacchiando qualsiasi oggetto che capitava loro a tiro e trasportavano i loro bottini sopra gli alti pini del bosco. E così, osservando gli oggetti accumulati sulle fronde degli alberi, i curiosi napoletani potevano dare sfogo ai pettegolezzi che spesso e volentieri coinvolgevano vescovi, perpetue e uomini d’onore. A quanto pare la situazione divenne alquanto ingestibile e fastidiosa, al punto che il vescovo della città, dopo aver subito il furto di un anello, decise di emanare una bolla di scomunica alle gazze ladre che fu inchiodata al pino più alto del bosco come monito per i dispettosi uccelli. Tre giorni dopo l’emanazione della bolla gli alberi del bosco di “Biancomangiare” iniziarono misteriosamente a rinsecchire uno dopo l’altro e le dispettose gazze ladre volarono via abbandonando quel luogo divenuto ormai arido. Quale sia la vera origine del nome, ancor prima di diventare il mercato chiassoso e colorato che conosciamo oggi, la Pignasecca era un'area significativa per il transito e il commercio. Le donne napoletane, fin dall'antichità, hanno giocato un ruolo fondamentale nella vita e nell'economia di questo quartiere. Erano loro, le "putecare" (bottegaie) e le venditrici ambulanti, a popolare le strade, offrendo i prodotti della terra, i frutti di mare freschi, le spezie e le prelibatezze locali. La loro presenza non era solo commerciale, ma anche sociale: la Pignasecca, infatti, era un luogo di incontro, di scambio di chiacchiere, di tradizioni e di ricette tramandate di generazione in generazione. Tra le donne che hanno segnato maggiormente la storia di questa zona vi è senza dubbio la garibaldina Marianna De Crescenzo, nata (a dispetto del soprannome “Sangiuvannara”) in via Pignasecca 23. Ancora oggi, tra i vicoli del quartiere, si può percepire l'eco di queste storie. Le voci dei venditori, i profumi della gastronomia partenopea e l'energia inconfondibile dei napoletani rendono il transito nella Pignasecca un'esperienza sensoriale unica con i suoi colori, profumi e suoni peculiari. Passeggiando in questo angolo della città è possibile ammirare uno spaccato suggestivo di Napoli che sopravvive intatto negli anni nonostante i mutamenti.