Intervista a Elena de Filippo

Ci parli del suo percorso personale e professionale.

Sono nata e cresciuta in una famiglia numerosa, benestante e laica che ha sempre messo al centro il valore di stare insieme, la solidarietà e l’uguaglianza. Le occasioni di festa erano affollate e gioiose, ma anche nella quotidianità la nostra casa era un punto di ritrovo: a cena non mancavano mai amici e parenti, e nella casa di vacanza eravamo sempre in tanti, tanti ospiti, grandi tavolate non solo nei giorni di festa. Credo che questo tratto della mia famiglia di origine abbia caratterizzato gran parte della mia vita, anche quando sono andata a vivere da sola, e dopo quando con Andrea (mio marito ndr) abbiamo messo su’ la nostra famiglia. Anche quando sono nati i nostri figli la nostra casa è stata attraversata quotidianamente da amici e conoscenti che arrivavano da tutto il paese e anche da fuori. Ho trascorso una infanzia e una adolescenza serene ed ho avuto tante opportunità. Sento di essere stata una privilegiata, nel senso che man mano che crescevo vedevo intorno a me diseguaglianze e persone che non avevano le stesse opportunità (di vivere in una bella e grande casa di fronte al mare, di fare viaggi, di stare al mare per tutti i mesi di vacanza a scuola, …). Però tutto sommato le mie sono state una infanzia e una adolescenza molto semplici. Le scuole medie e superiori le ho fatte al Pontano, una scuola privata di gesuiti. Non sono stata contenta di rimanere otto anni in quella scuola che sentivo molto lontana dal mio modo di essere, dal mio modo pensare, tuttavia è lì che mi sono formata, che ho fatto i miei primi studi sul marxismo e sul femminismo. Negli anni Settanta ho vissuto da lontano il movimento studentesco, soprattutto tramite mio fratello più grande, i suoi amici e gli amici del wwf che frequentavo. Ne ero molto affascinata e l’uccisione per mano dei fasciti nel 1978 di Claudio Miccoli - attivista ambientale amico di mio fratello- mi ha profondamente toccata. Ho scelto poi di studiare sociologia e lì mi si è aperto un mondo. In maniera naturale è arrivato l’impegno nel movimento studentesco, attraverso lo studio e l’attivismo ho cominciato a leggere le ingiustizie, le diseguaglianze e la mancanza di opportunità per tanti e tante in Italia e nel mondo. Da lì è nata la spinta verso un impegno concreto per un mondo più giusto. Li ho conosciuto compagni/e con cui ho condiviso tanto e mi hanno dato tantissimo in quegli anni per tanti versi spensierati, intensi, convinti che dovevamo fare la nostra parte.

Come definisci il tuo ruolo oggi ?

In verità non saprei bene come definirlo, sento di essere un punto di riferimento importante per tanti e tante, ma da parte mia non amo il protagonismo, non mi piace stare al centro dell’attenzione e cerco di spronare i colleghi e le colleghe ad essere protagoniste/i in maniera paritaria. Sento di avere tante cose da trasmettere, sono un po’ una memoria che sprona le colleghe e i colleghi più giovani ma allo stesso tempo anche tante cose ancora su cui mettermi in gioco.

Diritti oltre ogni frontiera

Quali sono le sfide e i vantaggi che hai incontrato nel tuo percorso?

La sfida principale è stata forse quella di essere autonoma e indipendente (anche sul piano personale), di rendere la cooperativa autonoma, ma allo stesso tempo impegnata. Ovviamente in diverse occasioni abbiamo pagato un prezzo per questa nostra autonomia, ma complessivamente ne è valsa la pena, è stata anche la mia/nostra forza. Più in generale quasi tutti i servizi che abbiamo creato hanno rappresentato una sfida perché spesso si è trattato di servizi innovativi: come ad esempio parlare negli anni novanta di mediazione culturale, o portare in accoglienza i minori stranieri non accompagnati). La sfida è stata quella di coinvolgere il pubblico, abbiamo colto bisogni (la ricerca azione ci ha aiutato tanto ) che l’ente locale non vedeva. Il vantaggio è stato sempre quello di vedere cose prima degli altri, leggere il territorio, i cambiamenti.

Quali sono i personaggi storici e contemporanei che più l’ hanno ispirata nella lotta per i diritti e l'uguaglianza?

Sono stata adolescente negli anni Settanta e ho frequentato l’università nei primi anni Ottanta e il mio attivismo, il mio impegno politico è iniziato in quegli anni. I personaggi storici di riferimento sono stati quelli di quella generazione studentesca: dai classici come Marx, Rosa Luxberg, Gramsci, gli eroi come Che Guevara, Mandela, Martin Luther King , le scrittrici come Simone de Beauvoir, Angela Davis, e poi direi Basaglia, Margherita Hack, Gianni Rodari, Fabrizio De Andre, Franca Rame, … Dopo gli anni dell’università e quindi dopo le battaglie sul diritto allo studio e la vicinanza al movimento operaio, il mio attivismo si è concentrato soprattutto sui diritti delle persone più fragili e tra queste i migranti. Ho partecipato a metà degli anni Ottanta alla prima indagine nazionale sulle migrazioni, facendo parte (come studentessa per la tesi di laurea) del gruppo di ricerca della Campania coordinato da Enrico Pugliese Francesco Calvanese. Questa esperienza è stata molto formativa sia sul piano professionale che per l’impegno che poi seguirà. La conoscenza delle condizioni di vita delle donne migranti che lavoravano come colf e la condizione di sfruttamento dei braccianti nell’agroaversano sono state per me determinanti. I sacrifici delle donne, le violenze che spesso subivano dai datori di lavoro o dai connazionali, il sacrificio che facevano per i figli, unito (nel caso ad esempio delle eritree) alle lotte per la liberazione o l’autodeterminazione del proprio popolo, ma anche le difficoltà a far valere i diritti più elementari come quello alla salute o allo studio. A metà degli anni 80 ho conosciuto la Dedalus, un centro di studi e ricerca, e ne sono entrata a far parte con alcuni compagni di studi. Ho fatto tesoro della prima esperienza di ricerca a cui avevo partecipato e partecipato a tante indagini e studi sull’immigrazione. Dopo la morte di Jerry Maslow e la grande manikfestazione antirazzista nell’ottobre del 1989 ho preso parte attivamente alla nascita del movimento antirazzista in Campania (con il Forum Antirazzista) e la Rete antirazzista. Una stagione molto importante del movimento che ha portato avanti battaglie sui diritti ma anche un confronto vero e costruttivo tra associazioni, sindacati, organizzazioni dal basso diverse, realtà laiche o religiose, strutturate o no, unite e solidali in un obiettivo comune. Attraverso il movimento antirazzista ho conosciuto tra i tanti a livello locale Giacomo e Vittoria, a livello nazionale Andrea (che con Dino Frisullo, Udo Enwereuzor, Anna Maria Rivera era portavoce della rete antirazzista). Con loro e con Dina, conosciuta negli anni dell’università, abbiamo deciso di portare il nostro impegno politico, antirazzista e sui diritti nel nostro lavoro e così sono diventati soci della Dedalus. E con loro nasce una nuova pagina della cooperativa, fino a quegli anni impegnata soprattutto in attività di ricerca, consulenze e formazione, era per certi versi poco più di uno studio associato, con professionalità e competenze ma in quegli anni l'impegno politico lo portavamo al di fuori della cooperativa. In quegli anni invece (circa 30 anni fa) con i nuovi soci portiamo all'interno della Cooperativa il nostro impegno, attraverso la gestione e la promozione di servizi, diventiamo cooperativa sociale. Portiamo dentro anche la cooperativa le esperienze delle tante realtà incontrate con la rete antirazzista un po' in giro per l'Italia; la ricerca-azione rimane una nostra metodologia importante che ci darà la spinta a progettare servizi, a conoscere i bisogni dei territori. Iniziamo così a progettare e gestire servizi per donne vittime di tratta, colf in difficoltà, minori stranieri non accompagnati, alunni stranieri neo arrivatia formare i primi mediatori culturali. Per tanti anni la cooperativa ha poi gestito servizi dedicandosi alle persone più fragili, ad abbattere gli ostacoli per contrastare le diseguaglianze fino a quando, poco più di 10 anni fa, abbiamo capito che per tutelare i diritti era fondamentale dialogare anche con le persone meno fragili. Così abbiamo avviato nuove sfide, affrontato temi come la rigenerazione sociale e urbana. Negli anni in cui la politica scendeva in piazza per alimentare o creare conflitto tra le persone più disperate e i cittadini più impauriti noi abbiamo risposto creando occasioni di dialogo e di incontro in un centro interculturale. E lo abbiamo fatto nell’'area a più alta concentrazione di cittadini e famiglie straniere della città di Napoli; lo abbiamo fatto attraverso l'arte, offerto occasioni di incontro dialogo. Questo è stato un momento complicato all’interno della cooperativa ma che poi ci ha dato tante soddisfazioni, infatti una parte dei colleghi vedeva come un tradimento non dedicarci esclusivamente alle fragilità e diritti. Ma con il confronto e il dialogo anche al nostro interno abbiamo portato avanti anche questa sfida e il tempo ci ha dato ragione.

Quali sono le sfide specifiche per le donne immigrate e rifugiatesi a Napoli?

Non so se si può parlare di sfide, ma i diritti delle donne immigrate sono ancora molto violati, poco garantiti dai tanti ostacoli che nel quotidiano si incontrano. Giusto per fare qualche esempio la difficoltà di crescere un figlio in un paese dove i servizi sono ancora molto scarsi (per tutte le donne) e in più si è in assenza di una rete familiare, dove lavorare è necessario per crescere qui i figli, ma anche per mandare alla famiglia di origine (o a i figli rimasti nel paese) La difficoltà di far valere competenze o titoli di studio non solo da un punto di vista formale, ma anche per poter svolgere un lavoro meno dequalificato (forte è la segregazione occupazione per le donne immigrate indipendemente da titoli, competenze, esperienze e aspirazioni sono in gran parte ancora oggi demansionate e sottoqualificate). Per le nuove generazioni vedersi riconoscere il diritto alla cittadinanza. E ancora far convivere le due culture in contesti dove il pregiudizio e gli stereotipi pesano ancora tanto. Un’altra sfida è affrancarsi dal peso della migrazione (da un debito morale verso la famiglia rimasta nel paese di origine) che è spesso determinante nelle (non) scelte, pur non rompendo i rapporti. Trovare un equilibrio tra essere qui, vivere la propria vita qui, scegliere per se stesse e gli affetti e i bisogni delle famiglie di origine.

Quali sono gli aspetti che la motivano maggiormente?

La maggiore motivazione la trovo nella promozione e tutela dei diritti delle persone fragili, l’abbattimento di quelle barriere che ostacolano l’accesso ai diritti, la lotta alle discriminazioni e il contrasto ai pregiudizi. Sono convinta che vivere in un mondo migliore, con meno ingiustizie, faccia stare meglio tutti e tutte.

Quali consigli darebbe ai/le giovani che vogliono iniziare ad impegnarsi in questo campo?

Avere una sana curiosità, conoscere senza preconcetti, non avere paura di confrontarsi e mettersi sempre un po’ in discussione nel confronto con gli/le altri/e. Essere protagonisti, agire, non solo osservare. Prendere iniziativa, anche nel piccolo. L’impegno non nasce dall’attesa, ma dalla partecipazione anche se spesso ci vuole tempo per vedere i risultati del proprio impegno.

Quali sono gli obiettivi futuri?

In rifemento al mio impegno in Dedalus, credo siano principalmente due. Il primo, sto provando a portalo avanti oramai da qualche anno, è quello di far crescere una nuova generazione di soci/e che siano in grado di portare avanti il lavoro della cooperativa. Una generazione che sappia coniugare competenze e impegno, che non rinunci, anzi che rivendichi il valore politico del lavoro sociale mettendosi in qualche modo in gioco, non delegando ma con protagonismo. L’altro è quello di consolidare il lavoro fin qui portato avanti, trovare nuove opportunità e strategie per continuare, pur in questo contesto sempre più complesso, ad essere innovativi ma fedeli alla nostra mission.

Come si può promuovere una maggiore sensibilità i temi dell'uguaglianza e dei diritti nelle scuole?

Portando esperienze diverse, promuovendo il confronto. Probabilmente è necessario partire dall’ascolto, dal confronto e dalla partecipazione attiva. Attività laboratoriali, testimonianze e progetti concreti aiutano a rendere questi temi vivi e vicini ai ragazzi e alle ragazze. Ma è importante coinvolgere anche le famiglie, usare un linguaggio accessibile e creare momenti anche informali per aprire spazi di dialogo per una cittadinanza consapevole e inclusiva.

Come ha gestito il carico emotivo che l'attivismo spesso comporta?

Sono una persona molto razionale, non è una scelta ma è il mio modo di essere. Ho per lo più vissuto le emozioni (sia nei momenti belli che in quelli non belli), in modo riservato, senza esternarle troppo. Questo mi ha aiutato a mantenere lucidità (nei momenti difficili), ma forse questo è stato anche un mio limite, mi ha anche chiuso qualche possibilità. Chi mi conosce bene, però, ha saputo leggermi comunque e, in modo discreto, ha condiviso con me anche il peso emotivo di questo percorso.