DONNE E DIRITTI
Intervista a Trisha Palma

Trisha sei una Street Artist, Pittrice, Scenografa che mette in tutte le sue opere un messaggio sociale. Da dove nasce la volontà di diventare “attivista”?
Sono nata a Scampia (un quartiere periferico di Napoli ndr) dove ancora vivo. L’esigenza di dipingere sui muri è nata un po’ per caso: a casa non avevo molto spazio per dipingere su superfici grandi, così alcuni amici che già usavano gli spray mi hanno consigliato di provare. E da lì non ho più smesso. Ormai sono più di dieci anni che realizzo murales utilizzando i pennelli. Quando sentivo il bisogno di esprimere un’opinione, il modo più diretto e naturale per me era farlo attraverso la pittura. Ho capito che quello era il mio mezzo: non solo per esprimere me stessa, ma anche per dare voce a chi voce non ce l’ha. Pittura e musica sono linguaggi universali: puoi anche non conoscere una lingua, ma quella cosa la senti, la comprendi. Non c’è stato un momento in cui ho deciso di utilizzare la mia arte per “fare attivismo”, semplicemente col tempo mi sono accorta che ogni mio murale è legato a un messaggio sociale. Non l’ho deciso a priori, è stato naturale perché non riesco a fare solo decorazione. Se un’opera non ha uno scopo, per me perde senso. Quindi sono diventata un’attivista, anche se non lo avevo programmato. Ho frequentato il liceo artistico e poi ho studiato scenografia teatrale in Accademia. La scenografia mi attirava perché, come i murales, ti fa lavorare su grandi superfici che devono essere trasformate e poi entrambe hanno un punto tecnico: il quadrettato. Se guardi un murale o una scenografia da vicino non vedi nulla, ma da lontano si rivela tutto il dipinto e il mio stile è influenzato dalla pittura teatrale, in particolare quella lirica. Ho firmato diverse scene opere liriche e ho lavorato anche come attrezzista al Teatro San Carlo però la pittura ha preso il sopravvento. Il teatro mi piace ancora molto ma oggi il mio lavoro principale è l’arte urbana: murales, piccole tele, eventi.
E l’arte urbana ti sta dando anche molte soddisfazioni, soprattutto a partire dai murales del Vicolo delle Donne, dove hai ritratto tante figure femminili.
Il Vicolo delle Donne nasce da una collaborazione con AM Bookstore, che purtroppo ha chiuso da qualche mese, e con l’associazione Vicolo della Cultura che opera nel Rione Sanità. L’idea era quella di raccontare figure femminili che si sono distinte nell’arte, nella scienza, nella letteratura. Si comincia con Frida Kahlo e poi si prosegue con Rita Levi-Montalcini, Matilde Serao, Artemisia Gentileschi, Michela Murgia. L’intento era far capire alle ragazze e ai ragazzi che passano in quel vicolo che una donna può essere tutto. Le figure che ho rappresentato hanno affrontato e superato le difficoltà del loro tempo, affermandosi in modi diversi. Accanto a ogni volto c’è una frase significativa. L’idea ha avuto successo e l’eco mediatica ha attirato tantissimi visitatori. Per me quell’opera ha un significato speciale anche perché si trova nel tragitto che facevo ogni giorno per andare al liceo artistico, i miei professori la vedono ogni mattina. Per me è un bel riconoscimento. Il primo “Vicolo della Cultura” tutto dipinto da me è un altro e si trova a Scampia. Lì non ci sono volti, ma uccellini e celidonie, simboli a me cari perché la celidonia è un fiore legato a una leggenda: si dice che le rondini usino il suo polline per aprire gli occhi dei cuccioli. E noi facciamo lo stesso con l’arte: cerchiamo di aprire gli occhi dei giovani del Rione Sanità. Nel Rione Sanità io faccio corsi di scenografia per i ragazzi del quartiere tramite l’ associazione Putéca Celidònia.

L’arte urbana al servizio del sociale
Qual è la figura che ti ha maggiormente ispirata nel tuo percorso?
Sicuramente i miei genitori. Mia madre in particolare mi ha sempre detto: “Non devi dipendere da nessuno, devi realizzarti”. Lei da giovane voleva frequentare l’artistico, ma mia nonna non glielo permise. Quindi i miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di scegliere e seguire la mia strada. Mi hanno sempre sostenuta e questo mi ha dato la forza per puntare in alto. Sono donna e sono cresciuta a Scampia: ho dovuto dimostrare qualcosa in più rispetto agli uomini e ho dovuto lavorare per rompere gli stereotipi che Scampia si porta addosso, ciò vuol dire dover continuamente dimostrare che non siamo tutti uguali, che a Scampia c’è tanta brava gente, tanta arte, tanta bellezza.
Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato nella vita personale e in quella professionale?
Una sfida è stata la decisione di aprire la partita iva e scegliere di vivere della mia arte. Ero incerta all’inizio perché non sapevo se ce l’avrei fatta, ho lasciato qualcosa di più sicuro (il teatro) per inseguire la mia strada. Era un rischio, ma sentivo che dovevo provarci. È fondamentale credere in se stessi, almeno un po’. E provarci, sempre.
Se dovessi dare un consiglio alle ragazze che leggeranno questa intervista, cosa diresti loro?
Direi loro che devono puntare in alto perché possono diventare qualsiasi cosa, noi donne possiamo essere tutto. E poi che poichè le ingiustizie sono ancora tante, bisogna continuare a lottare per tutte, come fecero quelle donne che prima di noi hanno lottato per il diritto al voto, per poter lavorare, per essere ascoltate. E soprattutto ogni donna, ogni ragazza deve pensare che nessun uomo può permettersi di dirti cosa puoi fare o non fare, dire o non dire.
