LUOGHI

 

Napoli come non l'hai mai vista!

Vivi un’esperienza immersiva tra arte, storia e cultura. Esplora luoghi che raccontano secoli di spiritualità e bellezza. Passeggia virtualmente tra chiostri silenziosi e architetture monumentali. Ogni ambiente è una finestra su un patrimonio unico, dove passato e presente dialogano attraverso affreschi, sculture e documenti antichi.

Biblioteca Nazionale di Napoli

Situata all’interno dell’imponente Palazzo Reale, la Biblioteca Nazionale di Napoli è uno dei più grandi e antichi istituti bibliotecari d’Italia. Scrigno di sapere e memoria collettiva, custodisce centinaia di migliaia di volumi, manoscritti rari, carte geografiche e documenti storici, tra cui materiali preziosi sulla storia e la cultura partenopea. In questo luogo, la parola scritta diventa ponte tra epoche e pensieri, tra realtà e immaginazione. È un simbolo dell’importanza dell’istruzione e del pensiero critico, e nel progetto Parthenope rappresenta la trasmissione del sapere, anche attraverso figure femminili che hanno fatto della cultura il loro strumento di espressione e libertà.

Museo e Real Bosco di Capodimonte

Affacciato sulla città dall’alto della collina che lo ospita, il Museo e Real Bosco di Capodimonte è un luogo dove arte, natura e storia si incontrano in perfetta armonia. Voluto da Carlo di Borbone nel XVIII secolo come residenza di caccia e reggia delle delizie, oggi è uno dei più importanti musei d’arte in Italia. Le sue collezioni custodiscono capolavori di maestri italiani ed europei, tra cui le opere di Artemisia Gentileschi, testimone del talento femminile che ha attraversato i secoli. Il Real Bosco, con i suoi sentieri alberati e le vedute panoramiche, abbraccia il museo, trasformandolo in un luogo di ispirazione e memoria.

Palazzo Reale di Napoli

Il Palazzo Reale di Napoli domina maestoso Piazza del Plebiscito, cuore simbolico della città. Edificato a partire dal 1600 su progetto di Domenico Fontana, nacque come residenza dei viceré spagnoli e, nei secoli successivi, fu ampliato e trasformato sotto le varie dinastie europee che governarono Napoli. Al suo interno si alternano stili, arredi e decorazioni che raccontano la storia del potere e del gusto a Napoli, dalla dominazione spagnola all’età borbonica. Il palazzo è un museo vivente, che attraversa quattro secoli di storia, arte e diplomazia. Tra le figure che ne hanno animato le sale vi fu Maria Carolina d’Asburgo Lorena, sovrana illuminata che abitò queste stanze e contribuì alla loro magnificenza. Oggi il Palazzo Reale non è solo un monumento architettonico, ma un simbolo del legame profondo tra Napoli e la sua storia culturale e istituzionale.

Complesso Monumentale di Santa Chiara

Nel cuore antico di Napoli sorge il maestoso Complesso Monumentale di Santa Chiara, fondato nel 1310 per volere di Sancha di Maiorca, regina di Napoli e moglie di Roberto d’Angiò. Costruito in stile gotico provenzale, il complesso comprende la chiesa, il monastero, il chiostro maiolicato e l’area archeologica, ed è uno dei luoghi più iconici della spiritualità e dell’arte partenopea. Santa Chiara è stato nei secoli un centro di cultura, preghiera e potere, e ancora oggi racconta la storia profonda della città attraverso la bellezza delle sue decorazioni e il silenzio delle sue arcate. Qui, l’impronta femminile della regina fondatrice si fa spazio nella pietra e nella memoria, rendendo il luogo simbolo della devozione e dell’autorevolezza delle donne nella Napoli medievale.

Castel dell'Ovo

Arroccato sull’isolotto di Megaride, dove secondo la leggenda approdò il corpo della sirena Parthenope, Castel dell’Ovo è il più antico castello di Napoli. Il suo nome deriva da un’antica leggenda medievale secondo cui Virgilio avrebbe nascosto un uovo magico nelle sue fondamenta, da cui dipendeva la sorte dell’intera città. Ma è molto prima, nell’immaginario greco, che questo luogo assume un significato profondo: qui si fa risalire la fondazione del primo insediamento partenopeo, nel nome di una creatura mitica e femminile. Oggi, Castel dell’Ovo è una soglia simbolica tra mito e storia, tra terra e mare, che racconta l’anima antica di Napoli e la sua nascita nel segno di una donna. Visitare questo luogo significa percorrere le origini della città, dove leggenda, paesaggio e memoria si fondono in un racconto tutto al femminile.

Basilica di Santa Maria Maggiore
alla Pietrasanta

La Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, situata su Via dei Tribunali a Napoli, fu fondata nel 533 dal vescovo Pomponio su un’antica struttura romana, di cui restano pavimenti e mosaici. Secondo la leggenda, la Madonna apparve al vescovo chiedendogli di erigere la chiesa per contrastare la presenza demoniaca di un maiale infernale, legando la fondazione alla miracolosa scoperta di una “Pietra Santa”. Il campanile romanico (X-XI secolo), tra i più antichi di Napoli, conserva elementi architettonici romani riutilizzati. Dopo il terremoto del 1456, la basilica fu ricostruita nel Seicento su progetto di Cosimo Fanzago, con pianta a croce greca e una cupola di 65 metri. Danneggiata gravemente durante la Seconda Guerra Mondiale, fu chiusa per decenni e persino usata come deposito negli anni ’70. Solo nel 2007 fu riaperta al culto. Oggi il complesso, con le sue cappelle e sotterranei, rappresenta un'importante sintesi della storia di Napoli.

Chiesa della Pietà dei Turchini

La Chiesa della Pietà dei Turchini, situata in via Medina a Napoli, prende il nome dal colore dell’abito turchese degli orfani accolti nell’annesso istituto, che comprendeva orfanotrofio, chiesa e conservatorio musicale, fondato tra il 1592 e il 1607. L’edificio originario, completato nel 1595, aveva una sola navata con cinque cappelle per lato. Tra il 1633 e il 1639 fu ampliato con transetto, abside e cupola grazie a fondi raccolti dai governatori dell’istituto e a benefattori come Gaspar Roomer. I lavori coinvolsero diversi architetti e artigiani, tra cui Felice di Marino, Diego Pacifico e Giovan Battista Vinaccia. La cupola fu oggetto di frequenti restauri a causa di fragilità strutturali e danni sismici, con interventi tra il 1674 e il 1725. Nel 1739 fu posato il pavimento, mentre tra il 1769 e il 1770 Bartolomeo Vecchione progettò un atrio monumentale (oggi perduto) e rifinì la facciata in stile rococò, preceduta da una cancellata in ferro battuto. L’interno, a navata unica, presenta dieci cappelle e due grandi cappelloni nel transetto, secondo lo stile solenne e catechistico della Controriforma. Le cappelle sono ornate da capolavori di artisti come Luca Giordano, Paolo De Matteis, Battistello Caracciolo, Andrea Vaccaro e Belisario Corenzio, con soggetti sacri ispirati alla vita di Cristo, della Vergine e dei santi. La chiesa rappresenta un importante esempio di arte e spiritualità barocca a Napoli.

Chiesa e Convento di
Santa Maria Apparente

La Chiesa di Santa Maria Apparente si trova lungo corso Vittorio Emanuele. È stata edificata a partire dal 1581 da padre Filippo da Perugia per venerare l’immagine della Vergine inizialmente posta all’interno di un’edicola votiva. Nell’intitolazione della chiesa l’appellativo di Maria come “apparente” si trova in una lapide del 1624, ma la tradizione popolare ha tramandato anche la versione di Santa Maria a Parete facendo riferimento all’apparizione di una luce sull’altura dove sorge l’attuale edificio da parte di alcuni pescatori che erano dispersi in mare durante una tempesta. Il progetto viene affidato all’architetto Giovan Battista Cavagna e tra il 1634 e il 1656 l’edificio viene ampliato su iniziativa di padre Eugenio da Perugia. L’ingresso alla chiesa è posto al termine di una monumentale scalinata che equilibra il dislivello esistente tra corso Vittorio Emanuele e la parte posteriore dove si sviluppa il convento posto all’altezza di via Filippo Palizzi. L’interno della chiesa ha una pianta a croce greca. Sull’altare maggiore è posta una tela di Giulio dell'Oca, datata 1611, con la Vergine con i Santi Antonio e Francesco. Tra le opere si segnalano anche una Crocifissione attribuita a Onofrio Palumbo e un San Samuele di Francesco De Maria. Il convento viene soppresso dai Borbone e utilizzato come carcere giudiziario, ospitando fino a 116 detenuti, tra cui Luigi Settembrini, marito di Raffaella Luigia Faucitano. Dal 1905 diviene “Palazzo degli Ufficiali”. Oggi è adibito ad abitazioni private.

Chiesa di San Gregorio Armeno

Nel cuore del centro storico di Napoli, lungo via San Gregorio Armeno, sorge l’omonima chiesa, conosciuta anche come Chiesa di Santa Patrizia. Le sue origini sono antiche: secondo alcune fonti fu edificata nel IX secolo, forse sulle rovine del tempio di Cerere, mentre altre ipotesi la fanno risalire all’VIII secolo, quando un gruppo di monache basiliane fuggite da Costantinopoli vi portarono le reliquie di San Gregorio d’Armenia. Tra il XVI e il XVIII secolo, la chiesa fu profondamente trasformata, diventando uno dei massimi esempi di barocco napoletano. Superato il portale marmoreo cinquecentesco, si accede a un interno riccamente decorato con stucchi dorati, marmi e affreschi. La navata unica ospita cinque cappelle laterali e un presbiterio rettangolare. Spiccano i 62 affreschi di Luca Giordano, tra cui la magnifica “Gloria di San Gregorio” nella cupola. Il soffitto a cassettoni è decorato con tavole fiamminghe, mentre due cori sopraelevati impreziosiscono l’abside e la zona delle monache, con opere del Giordano e un rilievo trecentesco della Madonna col Bambino. La chiesa possiede anche cinque organi, alcuni inseriti in cantorie lignee rococò. Nella quinta cappella di destra si conservano le reliquie di Santa Patrizia, oggetto di profonda devozione. San Gregorio Armeno è oggi un vero gioiello d’arte e spiritualità nel cuore di Napoli.

Chiesa e convento di
San Domenico Soriano

La Chiesa di San Domenico Soriano sorge nell’attuale piazza Dante, un tempo chiamata Largo Mercatello e poi Foro Carolino con l’apertura dell’emiciclo progettato da Luigi Vanvitelli, a Napoli. In origine la chiesa e il convento sono eretti grazie a una donazione ricevuta da Sara Ruffo di Mesurica al domenicano Tommaso Vesti. I domenicani calabresi acquistano così la piccola chiesa di Santa Maria della Salute, eretta nel 1587. Successivamente sull’edifico nel 1619 interviene l’architetto fra’ Giuseppe Nuvolo e negli anni 1673-1685 viene costruito il convento ad opera di Bonaventura Presti, Francesco Antonio Picchiatti, Giuseppe Caracciolo. La chiesa, a tre navate e cappelle laterali, presenta decorazioni barocche realizzate da Cosimo Fanzago e dipinti di Mattia Preti, Luca Giordano e altri autori della scuola seicentesca napoletana. Il complesso religioso è formato inoltre da un chiostro, realizzato dal padre domenicano Tommaso Vesti, che giunge dalla Calabria e dà avvio ai lavori nel 1606. Viene poi ampliato dall’architetto bolognese Bonaventura Presti e subisce numerose varianti nel corso del tempo così come l’edificio dell’ex convento. Maria Cristina di Savoia fonda un laboratorio di letti, indumenti e coperte da dare alle famiglie bisognose all’interno del convento di San Domenico Soriano. In seguito, con la soppressione degli ordini religiosi gli spazi saranno utilizzati come caserma della polizia fino al 1825, poi Padiglioni Militari fino al 1925, anno in cui viene ceduto al Comune che lo adibisce a Ufficio dell’Anagrafe, attivo a tutt’oggi. Nel 2018 la chiesa muta noma divenendo chiesa dei Santi Domenico Soriano e Nunzio Sulprizio in onore del santo il cui corpo è collocato sull’altare maggiore.

Conservatorio di Napoli
San Pietro a Majella

A partire dalla metà del Cinquecento, Napoli vide la nascita di quattro conservatori musicali (Pietà dei Turchini, Poveri di Gesù Cristo, Sant’Onofrio a Porta Capuana, Santa Maria di Loreto), fondati dal clero con finalità educative e assistenziali per fanciulli poveri e orfani. Tra il XVI e il XVIII secolo, questi istituti non solo offrivano accoglienza ma anche formazione musicale di alto livello, producendo musica per corti, nobili e chiese. Alla fine del Settecento, per motivi economici e amministrativi, vennero progressivamente unificati: nel 1806, per volontà di Giuseppe Napoleone, nacque il Real Collegio di Musica presso la Pietà dei Turchini. Due anni dopo fu trasferito nel Monastero di San Sebastiano (dove studiò Bellini), e nel 1826, con il ritorno dei Borbone, fu spostato nell’attuale sede dell’ex convento di San Pietro a Majella. Qui nacque ufficialmente il “Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella”, che diventò un punto di riferimento per la musica nel Sud Italia. Con l’Unità d’Italia il Conservatorio si adattò alle norme nazionali, ma nel 1890 ottenne il riconoscimento di Ente autonomo. L’edificio, un ex convento dei Celestini, ospita aule, due cortili – uno con la statua di Beethoven di Francesco Jerace – un auditorium, una biblioteca con preziosi manoscritti e un museo con strumenti storici. Tra i suoi illustri allievi: Riccardo Muti, Mercadante, Bellini e Leoncavallo. 

Istituto di Chimica
dell’Università Federico II

L’Istituto di Chimica in cui ha insegnato e lavorato Maria Bakunin fu costruito nel contesto del grande progetto di Risanamento di Napoli. L’Università Federico II si trovò a dover affrontare una sostanziale riorganizzazione dei propri spazi. Il progetto fu affidato agli ingegneri Guglielmo Melisurgo e Pier Paolo Quaglia, che tra il 1893 e il 1896 elaborarono un piano che prevedeva non solo la ristrutturazione dell’ex collegio gesuitico (che risale alla metà del Cinquecento), ma anche la costruzione di tre nuovi fabbricati, destinati ad ospitare il Rettorato, le Facoltà di Lettere e Giurisprudenza e gli Istituti di Chimica e di Fisica. Questi lavori trovarono compimento con la realizzazione del corpo centrale dell’università sul Rettifilo e dei due corpi arretrati, collegati dallo scalone che permetteva di superare il dislivello di più di sette metri. L’Istituto di Chimica fu collocato nell’edificio di sinistra rispetto al celebre Scalone della Minerva, con ingresso su via Mezzocannone 4. Questo edificio, gemello di quello che ospitava l’Istituto di Fisica, presenta una pianta a T e dispone di un’aula ottagonale “ad anfiteatro” situata presso l’innesto con lo scalone, caratteristica che evidenziava l’attenzione progettuale verso le esigenze didattiche dell’epoca. L’allora direttore dell’Istituto di Chimica era Agostino Oglialoro Todaro, dal 1896 marito della Bakunin. La storia dell’Istituto proseguì con ulteriori cambiamenti che rispecchiarono le trasformazioni dell’Università napoletana. Nel 1970, grazie alla disponibilità dei locali liberati dal trasferimento della Facoltà di Ingegneria nel nuovo complesso di Piazzale Tecchio a Fuorigrotta, l’Istituto trovò una nuova collocazione in via Mezzocannone 16. Il nuovo millennio segnò una fase di ulteriore espansione territoriale dell’Ateneo, con la costruzione del complesso di Monte Sant’Angelo dove ha sede, dal 2012, il Dipartimento di Scienze Chimiche.

La Pignasecca

La Pignasecca è uno dei luoghi più vivi e caratteristici del centro storico di Napoli, situata tra Spaccanapoli e via Toledo, nei pressi dell’attuale piazza Salvo D’Acquisto. Anticamente area rurale chiamata “Biancomangia”, venne urbanizzata nel Cinquecento per volontà di Don Pedro de Toledo con la costruzione di via Toledo. Secondo una leggenda, il nome “Pignasecca” deriva da un unico pino superstite che si seccò col tempo; un'altra versione racconta di gazze ladre che, rubando oggetti dalle case e accumulandoli sui pini, scatenarono pettegolezzi e addirittura una bolla di scomunica del vescovo. La zona divenne presto un importante centro commerciale e di passaggio, animato soprattutto dalle donne del popolo, le “putecare”, venditrici ambulanti protagoniste della vita sociale del quartiere. Tra le figure storiche, spicca Marianna De Crescenzo, detta “la Sangiuvannara”, patriota nata proprio in via Pignasecca. Oggi il mercato della Pignasecca conserva la sua anima vivace, tra bancarelle, pescherie, odori intensi e voci che raccontano un quartiere ancora fedele alle sue radici. Passeggiarvi significa immergersi in un autentico spaccato della Napoli popolare e verace.

Monastero di San Gregorio Armeno

Il monastero di San Gregorio Armeno nacque a Napoli dopo il 726, quando alcune monache basiliane fuggirono da Costantinopoli a causa della persecuzione iconoclasta e si rifugiarono nella diaconia di San Gennaro all’Olmo. Con l’aiuto del vescovo-duca Stefano II fondarono un monastero dedicato a San Gregorio, a cui nel 1025 si unì quello di San Pantaleone, collegato da un cavalcavia ancora visibile. Il complesso accoglieva nobili fanciulle napoletane e contava, già in epoca medievale, decine di religiose. In origine il monastero era strutturato come una cittadella di abitazioni autonome. Con la Controriforma, la badessa Lucrezia Caracciolo promosse una riforma architettonica e spirituale, costruendo un nuovo corpo di fabbrica con chiostro, alte mura, grate e una chiesa accessibile anche dall’esterno. Alcune monache abbandonarono il convento, mentre altre vi confluirono da monasteri soppressi. L’aspetto attuale risale alle trasformazioni del XVI secolo ad opera di Giovan Battista Cavagna. Il chiostro, aperto al pubblico dal 1922, conserva una splendida fontana con statue marmoree del 1733 di Bottigliero. Di particolare interesse è l’ingegnoso sistema idrico autonomo. All’interno si trovano ambienti ricchi di arte sacra, come il “corridoio delle monache” e il raffinato “salottino della badessa”. Non mancano il coro ligneo seicentesco, il refettorio e l’antico forno dove le religiose preparavano i celebri dolci conventuali.

Palazzo Bagnara

Palazzo Bagnara è uno dei più importanti esempi di architettura civile napoletana. La sua storia intreccia le vicende di borghesi ambiziosi, famiglie nobiliari e intellettuali rendendolo un simbolo della vitalità culturale napoletana. Esso sorge in quella che un tempo era nota come largo del Mercatello (oggi Piazza Dante). La costruzione dell’edificio risale al 1631 per volontà di Giovan Battista De Angelis, giurista di umili origini noto per la sua attività di consulente legale e per la sua influenza all’interno del Consiglio Collaterale del Vicereame di Napoli. Figura curiosa, De Angelis era noto anche per la sua corpulenza e per l’abitudine di spostarsi solo in carrozza. La leggenda narra che morì proprio a seguito di una caduta accidentale da una di esse. Dopo la sua morte, i figli vendettero il palazzo al principe Fabrizio Ruffo, duca di Bagnara, nel 1660. Egli incaricò l’architetto Carlo Fontana di ristrutturarlo. Fontana modificò l’originaria struttura barocca inserendo due nuovi piani sopra il cornicione originario, il primo con finestre e balconi alle estremità e il secondo con finestre quadre e un tetto a spiovente. Realizzò poi un cortile interno allungato con portico anteriore con due scale a tenaglia laterali e una scala scenografica sul fondo arricchita da statue neoclassiche e una cupola sopra il passaggio centrale. Infine, realizzò una cappella di famiglia, il cui ingresso è visibile sulla sinistra della facciata. Dopo la morte di Francesco Ruffo, sua moglie Ippolita sposò il celebre medico Domenico Cotugno. In seguito, il palazzo passò a Vincenzo Ruffo, che affidò ulteriori lavori a Vincenzo Salomone, prima che Fabrizio Ruffo vendette allo Stato la collezione di mobili, quadri e gioielli di famiglia, oggi esposta al Museo di San Martino. Nel primo Ottocento, il palazzo fu abitato dal marchese Basilio Puoti, illustre filologo e promotore della cosiddetta scuola dei puristi, volta alla difesa della lingua toscana nel contesto del Romanticismo letterario italiano. Tra gli alunni più noti ci fu Francesco De Sanctis, futuro primo ministro dell’istruzione della storia italiana. Nel 1830, anche Maria Giuseppina Guacci Nobile entrò a far parte di questa scuola: questo rappresentò un momento cruciale della sua formazione. 

Ponte della Sanità

Il ponte della Sanità, oggi ufficialmente intitolato a Maddalena Cerasuolo, si trova a Napoli, e sovrasta il Rione Sanità, nel quartiere Stella. Lungo 118 metri e dotato di sei arcate, il ponte unisce due importanti strade della città, via Santa Teresa degli Scalzi e corso Amedeo di Savoia, originariamente unite sotto il nome di corso Napoleone. La costruzione del ponte fu decisa agli inizi dell’Ottocento per volontà di Giuseppe Bonaparte che promosse un ambizioso programma di rinnovamento urbano e infrastrutturale. L’obiettivo era creare un collegamento diretto e scorrevole tra il centro cittadino e la Reggia di Capodimonte. Per realizzare il percorso verso la reggia era necessario superare il dislivello del vallone della Sanità, e da qui nacque la necessità di costruire un ponte che potesse attraversare l’intero quartiere dall’alto. Il progetto fu affidato all’architetto napoletano Nicola Leandro, e i lavori iniziarono tra il 1806 e il 1807, proseguendo poi sotto il regno di Gioacchino Murat. Il ponte fu ufficialmente completato nel 1809. La sua costruzione comportò però conseguenze significative sul patrimonio culturale dell’area. Infatti, per fare spazio alla nuova infrastruttura fu abbattuto il chiostro maggiore del complesso seicentesco di Santa Maria della Sanità, mentre il chiostro minore, di forma ovale, subì gravi compromissioni. L’intero monastero fu infine soppresso, in linea con la politica di cancellazione degli ordini monastici e di confisca dei loro beni da parte dello Stato. Il ponte della Sanità non è solo un’opera ingegneristica di rilievo, ma è diventato nel tempo un simbolo della resistenza partenopea. Durante le Quattro Giornate di Napoli, nel settembre del 1943, i soldati tedeschi, costretti alla ritirata dalla rivolta popolare, tentarono di distruggere il ponte per impedire i collegamenti tra il centro e la zona nord della città. Il 29 settembre, grazie al coraggio di Maddalena Cerasuolo, il ponte fu salvato dalla distruzione. Lenuccia, così chiamata, prese parte attivamente alla difesa del ponte, dimostrando grande coraggio e contribuendo in modo determinante alla sua salvezza. In suo onore, infatti il ponte è stato ribattezzato con il suo nome, divenendo un luogo della memoria e simbolo della libertà conquistata.

Teatro Trianon-Viviani

Il Teatro Trianon, oggi “Teatro Trianon-Viviani”, fu inaugurato nel 1911 in piazza Vincenzo Calenda, nel quartiere Forcella, per arricchire l’offerta culturale del neonato corso Umberto I. Il nome richiama i celebri padiglioni reali di Versailles. Il teatro ingloba un’importante testimonianza archeologica: la Torre della Sirena, unica torre superstite dell’antica cinta muraria di Neapolis (V-IV sec. a.C.), simbolo del mito di Partenope. Il primo spettacolo fu Miseria e Nobiltà con Vincenzo Scarpetta. Fin da subito, il teatro ospitò commedie, operette e musica napoletana. Negli anni ’30 divenne culla della “canzone sceneggiata”, poi ribattezzato “Trionfale” in epoca fascista, trasformandosi in cinema (“Splendore”) nel 1947. Dopo periodi di grande successo e un declino negli anni ’90, nel 2000 fu restaurato e restituito alla funzione teatrale da Gustavo Cuccurullo. Ristrutturato in stile all’italiana con 530 posti e tre ordini di palchi, oggi espone la Torre della Sirena al centro della platea. Divenuto pubblico nel 2006 e intitolato a Raffaele Viviani, è stato diretto artisticamente da Nino D’Angelo fino al 2010 e, dal 2020, da Marisa Laurito. Vi si esibiscono artisti della scena partenopea come Peppe Barra, Lina Sastri, Enzo Gragnaniello, Almamegretta e Rocco Hunt, rendendolo un punto di riferimento della cultura musicale e teatrale napoletana. 

Via Scarlatti

La strada che collega via Francesco Cilea con via Belvedere e via Raffaele Morghen porta il nome di Alessandro Scarlatti, celebre compositore barocco nato a Palermo nel 1660. A lui è stato intitolato questo importante asse viario per il ruolo determinante che ha avuto nella fondazione della scuola musicale napoletana. Quest’ultima divenne, nel corso del XVIII secolo, uno dei principali punti di riferimento per i musicisti dell’epoca, contribuendo alla nascita dell’opera comica e buffa e accrescendo la fama internazionale della città di Napoli. Proprio grazie a questa tradizione musicale, la città si affermò come una meta imprescindibile per i giovani compositori europei desiderosi di perfezionare la propria tecnica. Tra i maggiori esponenti di questa scuola, oltre ad Alessandro Scarlatti, si annoverano anche Domenico Cimarosa e Francesco Provenzale. Via Alessandro Scarlatti è oggi una delle strade più note e frequentate di Napoli. Fu tracciata nel 1887 nell’ambito del piano di ampliamento e risanamento urbano che diede origine anche al Rettifilo e a piazza Vanvitelli. Attualmente rappresenta il cuore commerciale del quartiere Vomero. Negli anni ’70, a seguito di un crollo, alcuni edifici ottocenteschi, costruiti in stile più modesto rispetto a quelli edificati al Corso Umberto I, vennero demoliti e sostituiti con nuove costruzioni moderne. A metà degli anni Novanta, via Scarlatti fu pedonalizzata. Inizialmente la decisione suscitò forti proteste da parte dei commercianti, preoccupati per le possibili ricadute negative sulle loro attività. Col tempo, tuttavia, la pedonalizzazione si è rivelata una scelta vincente: gli edifici e le attività commerciali hanno subito una significativa rivalutazione e l’area si è trasformata in uno dei principali centri dello shopping in città.