Eleonora Pimentel Fonseca

Poetessa, giornalista, intellettuale, scienziata e rivoluzionaria: Eleonora Pimentel Fonseca fu una delle figure più importanti nella Repubblica Napoletana del 1799. Nacque a Roma il 13 gennaio 1752 da una famiglia nobile portoghese. Suo padre, Don Clemente Henriquez de Fonseca Pimentel Chavez de Beja, si era trasferito in Italia per sposare Caterina Lopez de Leon, di origini lisbonesi. A otto anni Eleonora si trasferì con la famiglia a Napoli a seguito delle tensioni tra Portogallo e Stato Pontificio. Qui ricevette un’educazione straordinaria per l’epoca, soprattutto per una donna: studiò i classici latini e greci, varie lingue moderne e le scienze, sotto la guida di precettori come De Filippis, Spallanzani e Caravelli. Giovanissima, frequentava i salotti culturali napoletani, dove si fece notare per il talento poetico e intellettuale. A sedici anni entrò nell’Accademia dei Filaleti con lo pseudonimo di Epolnifenora Alcesamante; nel 1768 pubblicò il poema encomiastico Il tempio della gloria in occasione delle nozze di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria. Più tardi fu ammessa all'Arcadia napoletana col nome di Altidora Esperetusa. Nel 1778, dopo un fidanzamento fallito col cugino Michele, fu costretta a sposare Pasquale Tria de Solis, un ufficiale borbonico, conservatore e violento. Il matrimonio si rivelò presto un incubo per lei. Oltre alla profonda incompatibilità intellettuale e morale, Eleonora subì abusi fisici e psicologici. Ebbe tre gravidanze, tutte tragicamente interrotte: la prima si concluse con la morte del figlio Francesco a otto mesi; le altre due furono segnate dalla violenza coniugale, tanto che rischiò la vita. La separazione legale, ottenuta nel 1785 dopo un lungo processo, segnò la fine di quell’unione dolorosa. Rimasta vedova del padre e in ristrettezze economiche, visse in una modesta casa a Santa Anna di Palazzo, che divenne il fulcro delle sue attività culturali e politiche. Tradusse e annotò opere politiche anticlericali e compose testi in napoletano come il sonetto satirico sulla “Chinea” per criticare la sottomissione del Regno di Napoli al Papa. Lentamente si avvicinò agli ideali giacobini. La Rivoluzione francese e la decapitazione di Maria Antonietta (sorella della regina Maria Carolina) indussero la monarchia napoletana a un giro di vite repressivo contro gli intellettuali. Nel 1798 Eleonora fu arrestata con l’accusa di cospirazione e possesso di testi proibiti. Liberata con l’arrivo delle truppe francesi di Championnet, partecipò attivamente alla proclamazione della Repubblica Napoletana (22 gennaio 1799). In quel clima di fervore rivoluzionario divenne direttrice del Monitore Napoletano, giornale e organo di stampa del governo rivoluzionario, firmandosi come “cittadina Fonseca”. Il giornale, pubblicato dal 2 febbraio all’8 giugno 1799, promosse i principi di libertà, uguaglianza e istruzione popolare. Eleonora propose persino una gazzetta in dialetto napoletano per educare il “minuto popolo” ai valori democratici, ritenendo fondamentale che anche gli strati più umili fossero messi in grado di comprendere e giudicare i fatti politici. Ma questo idillio fu breve. A partire da febbraio le truppe del Cardinale Ruffo riconquistarono il Regno. Napoli cadde nuovamente sotto il controllo borbonico a metà giugno. Tradita dalle promesse di salvezza contenute nei patti di resa, Eleonora fu arrestata mentre cercava di fuggire via nave verso la Francia. Processata e condannata a morte, chiese invano di essere decapitata, privilegio riservato ai nobili. Il 20 agosto 1799 fu impiccata in piazza del Mercato, dopo aver assistito all'esecuzione degli altri patrioti. Salì per ultima sul patibolo e, prima di morire, pronunciò la celebre frase virgiliana: «Forsan et haec olim meminisse juvabit» (Forse un giorno gioverà ricordare anche queste cose). Morì tra gli scherni di un popolo disilluso e manipolato, lo stesso popolo che aveva cercato di educare e liberare. Il suo corpo, esposto ai lazzi dei lazzari, divenne simbolo della tragica fine di un sogno rivoluzionario.

Matilde Serao è una delle figure letterarie e giornalistiche più importanti nella storia di Napoli e dell’Italia. Nata a Patrasso nel 1856 e trasferitasi presto a Napoli, divenne una scrittrice e giornalista di grande successo, fondando nel 1892 il quotidiano Il Mattino, che ancora oggi è uno dei principali giornali della città. Attraverso la sua penna, Matilde Serao raccontò con realismo e sensibilità la vita della Napoli di fine Ottocento, descrivendo le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue sfide sociali. Fu pioniera nel dare voce alle classi popolari e nel denunciare le ingiustizie, diventando un punto di riferimento per la stampa italiana. La sua carriera è segnata da un’instancabile passione per la cultura e il progresso, e il suo lavoro ha aperto la strada a molte donne nel mondo del giornalismo e della letteratura. Matilde Serao resta un simbolo di forza, talento e modernità, una donna che ha contribuito a costruire l’identità culturale di Napoli e dell’Italia contemporanea.

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Chiesa di Sant’Anna di Palazzo – Il legame con Eleonora Pimentel Fonseca

Nel cuore di Napoli si trova la chiesa di Sant’Anna di Palazzo, luogo di grande importanza personale e storica per Eleonora Pimentel Fonseca, figura di spicco dell’Illuminismo napoletano e protagonista della Repubblica Napoletana del 1799. Qui Eleonora si sposò, consolidando un legame profondo con la città. Nei pressi della chiesa, Eleonora visse e coltivò le sue idee di libertà e giustizia, diventando una voce coraggiosa e determinata contro le ingiustizie del suo tempo. La chiesa e il quartiere intorno sono dunque testimoni silenziosi di una vita dedicata all’impegno politico e culturale.