DONNE DI NAPOLI
La Janara

Nel cuore pulsante della Napoli antica, in quella zona dei Decumani dove sorge imponente la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, si intreccia una storia affascinante e complessa: quella della Janara. La parola stessa "janara" è una traslitterazione dialettale del termine latino "dianara", che significava "seguace di Diana". Questa etimologia è fondamentale per comprendere il legame con il mondo pagano e, di conseguenza, con la magia intesa in senso primitivo. Nel luogo dove oggi si erge la Basilica, infatti, sorgeva un antico Tempio di Diana, la dea romana della caccia e della Luna, ma anche protettrice delle donne, degli animali selvatici e custode della verginità. Resti di questo tempio sono ancora oggi inglobati e visibili nel Campanile Romanico dinanzi al Complesso, testimonianza tangibile di un culto millenario. Il culto di Diana era riservato esclusivamente alle donne, che invocavano la dea per ottenere parti non dolorosi e protezione. Gli uomini, tuttavia, mal tolleravano questa devozione femminile, soprattutto perché molte donne, pur di evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea e offrirle la loro castità. Le ragazze che diventavano sacerdotesse di Diana furono in seguito appellate in maniera dispregiativa con il nome di Dianare o Janare, un appellativo che ne segnava la marginalizzazione. Con l'avvento e la diffusione del Cristianesimo, la figura della Janara subì una radicale trasformazione: rispettate sacerdotesse divennero per la tradizione popolare donne bellissime ma pericolose, associate al diavolo e a eventi soprannaturali. Si diceva che avessero il potere di predire il futuro, lanciare incantesimi e sedurre gli uomini con il loro fascino, e alcune leggende le dipingono come creature vendicative, pronte a punire chi le avesse offese. La forza del culto di Diana era tale che nel 553 d.C. il vescovo Pomponio, per contrastarlo e sradicare le credenze pagane, fece edificare una chiesa dedicata alla Madonna: Santa Maria Maggiore. La leggenda narra che la Vergine Maria gli apparve in sogno, chiedendogli di costruire la chiesa solo dopo aver trovato una "Pietra Santa"di marmo, celata sotto il terreno e avvolta in un panno celeste. La Madonna spiegò a Pomponio che la Basilica avrebbe contrastato la presenza del diavolo che, sotto forma di un enorme maiale, compariva tutte le notti nella zona tra Piazza Miraglia e il centro antico, spaventando i residenti con il suo grugnito infernale. Secondo gli abitanti fu proprio una Janara ad aver inviato in città l'orribile maiale per vendetta. Ancora oggi secondo la tradizione popolare la Janara si aggira per Napoli intrecciando le trecce ai cavalli e, quando si introduce nelle case dei poveri malcapitati, si accanisce specialmente sui più piccoli, per pura invidia o per desiderio di maternità. Per farla andare via quando la si incontra bisogna afferrarla forte per i capelli e dire: “Janara janara ca ‘e notte me piglie, te piglio pô vraccio e te tiro ‘e capille”. C’è anche un modo per evitare di incorrere in questa strega: si racconta, infatti, che per non farla entrare in casa basta porre del sale grosso sul davanzale della finestra. O ancora, basta riporre fuori la porta una scopa di saggina di modo da farle contare per tutta la notte i fili che la compongono. La Janara della Pietrasanta, quindi, non è solo una figura leggendaria, ma un simbolo potente della complessa transizione culturale e religiosa di Napoli, un ponte tra antichi culti femminili e la successiva demonizzazione che ha plasmato la sua immagine nella memoria collettiva.
Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta
