DONNE E DIRITTI
Donne e diritti
Tra i tantissimi personaggi femminili profondamente legate a Napoli e alle sue leggende incontriamo dee, sirene, maghe, studiose, artiste, attiviste che hanno veicolato messaggi di emancipazione, che hanno lottato per i propri diritti, per l’ottenimento di un’identità sociale e culturale divenendo un modello che ha lasciato in eredità alle generazioni successive esempi di coraggio, di impegno politico, di grande creatività, di desiderio di conoscenza, di forte resilienza, di indomito spirito rivoluzionario. Sono state le protagoniste di una lotta per i diritti, la libertà e la giustizia. Alcune di loro hanno sfidato le convenzioni, lottato contro l’oppressione e scritto il proprio nome nella storia, con coraggio, determinazione e amore per la propria città. Andiamo dunque ad esplorare alcune incarnazioni femminili, incrociandone le storie con quelle di donne che rappresentano quegli stessi ideali oggi.


La lotta per la libertà
Eleonora Pimentel Fonseca è stata una donna intelligente e raffinata, una poetessa e giornalista multilingue. Peculiarità davvero eccezionali per una ragazza dell’epoca, soprattutto se si pensa alle difficoltà che ha dovuto affrontare durante la sua vita: un matrimonio combinato ed un marito violento, il coraggio di chiedere la separazione ed affrontare il processo. Eleonora era portatrice di reali e concreti ideali repubblicani, che sembra quasi di poter ancora respirare nei Quartieri Spagnoli dove ha vissuto e dove ha forse anche organizzato incontri politici segreti. Divenne addirittura bibliotecaria della Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, finché il suo costante impegno politico volto al progresso delle classi meno fortunate non le valse la nomina da parte del Governo provvisorio a Direttrice del primo giornale politico della città, “Il Monitore Napoletano”. Eleonora cercò di abbattere il regime borbonico e istituire una Repubblica democratica a Napoli durante la Rivoluzione Partenopea del 1799 alla quale non solo partecipò attivamente ma fu anche una delle protagoniste intellettuali della rivoluzione. La sua lotta per la libertà si concluse tragicamente con la sua esecuzione: fu giustiziata dai Borbone, ma le sue ultime parole, “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”, risuonano ancora oggi come un monito per le future generazioni. La sua figura rimane simbolo di coraggio e passione, incarnando la lotta per i diritti civili e la dignità umana in un’epoca di grande fermento politico. Eleonora Pimentel Fonseca è oggi ricordata non solo come una martire della libertà, ma anche come una donna che ha saputo unire cultura e impegno sociale, aprendo la strada a una nuova idea di femminilità impegnata e consapevole nel panorama napoletano e italiano.
Elena de Filippo
Elena de Filippo (Napoli, 15 settembre 1963) è sociologa, ricercatrice e formatrice, con una lunga esperienza nel campo dell’immigrazione, delle politiche sociali e del terzo settore. Dal 1999 è presidente del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa Sociale Dedalus di Napoli, una delle realtà più attive a livello nazionale nei servizi rivolti a cittadini stranieri, donne in difficoltà, adolescenti e famiglie a rischio di esclusione sociale. All’interno della cooperativa, coordina progetti complessi di intervento territoriale, svolge attività di ricerca e si occupa della formazione di operatori pubblici e del terzo settore. Dopo la laurea con lode in Sociologia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II (1989), ha conseguito il dottorato di ricerca in “Sociologia dei processi di innovazione del Mezzogiorno” con una tesi sul mercato del lavoro e le politiche migratorie nell’Europa mediterranea. Ha perfezionato i suoi studi presso la Universidade Aberta di Lisbona e frequentato scuole internazionali di metodologia della ricerca sociale, tra cui l’Università di Essex in Inghilterra. Elena de Filippo è professore a contratto di Sociologia delle migrazioni presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove insegna dal 2002. È inoltre membro del comitato scientifico del Master universitario in Gestione delle migrazioni e dei processi di accoglienza e inclusione. Ha tenuto corsi e seminari per numerosi percorsi formativi universitari e post-universitari, collaborando con istituzioni accademiche, sanitarie, scolastiche e amministrative. È stata componente dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura istituito presso il Miur e consulente presso il Comune di Napoli sulle tematiche legate alle migrazioni. La sua attività di ricerca e consulenza si è sviluppata lungo più di trent’anni, con un focus costante su temi come l’integrazione degli immigrati, lo sfruttamento lavorativo, la tratta di esseri umani, le seconde generazioni, la violenza di genere, l’intercultura e il disagio giovanile. Ha collaborato con enti di ricerca, università, ONG e istituzioni pubbliche quali il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Interno, la Regione Campania, l’Istat, l’Università Federico II, l’OIM, il CNR, la Fondazione ISMU e molte altre. Ha pubblicato oltre 50 testi su riviste e volumi scientifici.
I diritti delle donne
Luciana Viviani
Lucia Viviani (1890-1945) è stata un’indomabile guerriera antifascista e femminista che ha combattuto, in prima linea, le più importanti battaglie italiane del Novecento. Dalla Resistenza alle lotte per l’emancipazione femminile, ha portato avanti il suo impegno politico e civile con instancabile passione. Fu una donna semplice ma che fece dell’impegno politico e della lotta per i diritti delle donne la sua ragione di vita, portando avanti battaglie di ogni tipo e campagne per la libertà della maternità, il divorzio, l’aborto e gli asili nido. Viviani usò la sua penna come strumento di lotta, denunciando le ingiustizie e dando voce a chi spesso veniva messo ai margini della società. Nacque a Napoli nel 1917, terzogenita dell’attore e autore teatrale Raffaele Viviani e di Maria Di Majo. Dal padre ereditò l’amore per l’arte, la cultura e la capacità di osservare il mondo, di raccogliere le storie della gente e di farsene portavoce. Come lei stessa scrisse “Per venti anni ho vissuto in un ambiente piccolo borghese cittadino, sebbene mio padre fosse un uomo del popolo che esprimeva nella sua arte la denuncia più spietata delle tragiche condizioni di miseria del popolino napoletano”. Si laureò in lingue e letterature straniere e già negli anni universitari fu coinvolta nella militanza antifascista. Dal 1945 Luciana Viviani si impegnò nel PCI per la ricostruzione democratica del Paese: partecipò alla costituzione delle Commissioni femminili del partito a Milano e si dedicò con slancio nella lotta per gli interessi immediati e i diritti dei più diseredati, in particolare delle donne e dei bambini napoletani. Nel ’46 venne eletta in Parlamento, dove rimase per quattro legislature. Dirigente e militante attiva dell’Unione Donne Italiane (UDI), visse tutte le trasformazioni e le lotte dell’associazione, dalla fondazione fino alla trasformazione in Movimento sancita nella Carta degli intenti. Della storia dell’Udi e del rapporto fra emancipazione e liberazione ha lasciato una traccia indelebile nel volume scritto nel 1985 insieme con Maria Michetti e Margherita Repetto “ Udi. Laboratorio di politica delle donne “ che resta un testo imprescindibile per la storia del movimento delle donne italiano. Pubblicati per l’Editore Giunti sono i suoi libri Rosso antico. Come lottare per il comunismo senza perdere l’umorismo (1994) e Le viceregine di Napoli (1997), nei quali, con formidabile ironia, intrecciò autobiografia e storia. Morì l’11 giugno 2012 all’ età di 95 anni. Il suo impegno durante le Resistenza le valse una croce al merito di guerra.
Lella Palladino
Sociologa, femminista, attivista dei centri antiviolenza, esperta in tematiche di genere, è da sempre impegnata nella programmazione e gestione di interventi per la prevenzione ed il contrasto della violenza maschile e per la promozione della soggettività e dei diritti delle donne coniugando costantemente attività professionale ed impegno politico. Appena dopo la laurea con una tesi in Antropologia Culturale ha fondato con i colleghi del gruppo di lavoro della professoressa Amalia Signorelli la cooperativa Co.St.Ante mirata agli studi antropologici sul territorio. Ha lavorato per 5 anni con una borsa di studio nel il Servizio Materno Infantile dell’U.S.L. di Caserta curando progetti di educazione sanitaria per la salute riproduttiva delle donne ed il monitoraggio dei Consultori familiari. E’ stata per 8 anni componente dell’Unità Tecnica Operativa della Regione Campania, area Politiche Sociali, quale consulente Formez per il sostegno formativo e l’assistenza tecnica agli Ambiti territoriali per l’attuazione della 328/00 e per l’affiancamento agli uffici regionali per l’istruttoria dei Piani di Zona, la produzione di linee guida. Nel 1999 ha fondato la Cooperativa Sociale E.V.A. un’organizzazione di donne attive nelle politiche di genere che gestisce oggi in Campania 5 centri antiviolenza, 3 case rifugio per la protezione di donne sopravvissute alla violenza, vittime di tratta, rifugiate e richiedenti asilo, 2 laboratori “Le Ghiottonerie di Casa Lorena” ed “EvaLab” per l’inserimento lavorativo ed il sostegno dell’autonomia economica di donne in uscita da situazioni di violenza ed in condizione di particolare difficoltà attivati in due beni confiscati alla criminalità organizzata e rifunzionalizzati per scopi sociali.Con le stesse finalità EVA gestisce inoltre la bouvette del Teatro Mercadante di Napoli.




Quando l’arte promuove diritti
Benedetto Croce disse di lei «La Serao è tutta osservazione, mossa dal sentimento».
Fu la prima “vera” giornalista italiana, nacque a Patrasso nel 1856 da padre napoletano esule in Grecia e da madre greca. Già a partire dal 1860 visse a Napoli, dove frequentò la Scuola Normale e dove lavorò alcuni anni ai Telefoni dello Stato, per poi dedicarsi alla letteratura e al giornalismo. Prima di lei altre altre donne si erano dedicate al giornalismo, ma rimanendovi semplici collaboratrici e per lo più in giornali femminili. La Serao, invece, entrò presto a far parte della redazione di un quotidiano, «Capitan Fracassa», il che costituì un fatto nuovo nella stampa quotidiana. Dopo il matrimonio con Eduardo Scarfoglio nel 1885, fondò con lui il «Corriere di Roma», cui diresse l’intera redazione. Nel 1888 tornò a Napoli, dove con il marito fondò e diresse prima il «Corriere di Napoli» e successivamente, nel 1892 «Il Mattino» che sarebbe diventato il quotidiano più diffuso dell’Italia meridionale. Dopo la separazione dal marito fondò da sola il quotidiano «Il Giorno» e diresse il settimanale letterario «La Settimana». Parallelamente all’attività giornalistica, svolta con passione e impegno quotidiano, si dedicò a quella letteraria e fu fecondissima scrittrice di varia ispirazione. La sua fama è legata al romanzo Il ventre di Napoli che pubblicò a puntate sul «Capitan Fracassa» nel 1884 dove denunciò le responsabilità governative nell’epdemia di colera che colpì Napoli, mentre nel libro Il paese di Cuccagna parlò del gioco del lotto e più in generale della miseria di Napoli, Matilde Serao ha avuto la grande capacità di rappresentare il ritratto più vero e dolente della popolazione napoletana, in quel particolare momento storico, che va dagli anni settanta al primo Novecento. Morì nel 1927 a Napoli, la città di cui, con tanto acume, aveva saputo osservare e descrivere la trasformazione e la decadenza. Come giornalista e come scrittrice seppe osservare con lucidità ed esprimere con dolorosa mestizia il sacrificio del Sud, consumato in nome dell’unità della nazione e dell’arrivismo di Roma capitale e il conseguente senso di ineluttabile fatalità che da allora avvolgerà l’intero meridione.
Marina Rippa
Marina Rippa Nata a Napoli, dove vive, nel 1961. Inizia ad interessarsi del movimento come espressione nel 1979, frequentando l'Isef di Napoli e formandosi contemporaneamente in psicocinetica con Jean Le Boulch. Dal 1982 al 1988 ha fatto parte, in qualità di Operatrice, dell'équipe nazionale di ricerca-sperimentazione sull’educazione motoria funzionale nella scuola materna ed elementare. Si avvicina al teatro come mimo e attrice, privilegiando sempre, però, il lavoro sul movimento e quello “dietro alle quinte”, di trainer. Nel 1992 fonda, con Davide Iodice, Raffaele Di Florio e Massimo Staich, il gruppo di ricerca teatrale “Libera Mente”. Si occupa di linguaggi non verbali, drammaturgia del corpo, formazione dell’attore e pedagogia teatrale. Ha curato il training e gli studi sul movimento vari spettacoli, prodotti da libera mente, Biennale di Venezia, Festival di Berlino, Teatro Mercadante, Napoli Teatro Festival Italia, Festival di Spoleto, ditta Strega – Benevento, Ateater – Val Badia. Dal 1994 indaga sull'universo femminile, ideando e conducendo progetti teatrali con donne di tutte le età.
Quando l’arte promuove diritti
Artemisia Gentileschi nacque a Roma nel 1593, in un periodo di grande fermento artistico. Figlia del pittore Orazio Gentileschi, fu tra le prime donne a intraprendere la carriera artistica in un mondo dominato dagli uomini, dimostrando fin da giovanissima un talento straordinario. La sua vita fu segnata da un evento traumatico: la violenza subita da Agostino Tassi, suo maestro, che portò a un processo pubblico nel 1612, durante il quale Artemisia testimoniò coraggiosamente. Trasferitasi a Firenze, fu la prima donna ammessa all’Accademia del Disegno e ricevette importanti commissioni grazie alla protezione dei Medici. Viaggiò tra Roma, Venezia, Londra e Napoli, dove si affermò come una delle pittrici più importanti del suo tempo. Le sue opere, come "Giuditta che decapita Oloferne", sono note per la forza drammatica e per la rappresentazione attiva e coraggiosa delle donne, spesso ispirate alla sua stessa esperienza di vita. Artemisia morì a Napoli intorno al 1654, lasciando un’eredità artistica e simbolica fondamentale: fu una delle prime artiste a dare voce e forza al punto di vista femminile nella pittura.
Trisha Palma
Trisha Palma nasce a Napoli il 18 Gennaio 1995. Manifesta la sua spinta verso la pittura fin da piccolissima; a sei anni la madre le regala un cavalletto e da quel momento non staccherà più le mani dai pennelli per comunicare tramite le tele e i colori l'urgenza espressiva del suo temperamento malinconico. La sua formazione inizia presso il Liceo Artistico SS Apostoli di Napoli, prosegue i suoi studi presso l'Accademia delle Belle Arti in scenografia per il teatro. Sin dagli anni accademici ha portato avanti la carriera di pittrice e quella di scenografa. Ha partecipato a varie esposizioni tra cui quella al PAN con Napoli Art Expo ed al Madre.




La medicina di genere
Trotula de Ruggero
Trotula De Ruggiero è da considerarsi la prima scienziata che introdusse nel settore medico la “medicina di genere”. Fu la più famosa delle ”Mulieres Salernitanae”, le Dame della Scuola Medica di Salerno, dove la scienziata studiò e insegnò. Le sue teorie precorsero i tempi in molti campi tra cui quello della prevenzione e dell’igiene, fu autrice di trattati di medicina che mostrano eccezionali conoscenze in campo dermatologico, ginecologico ed ostetrico. La sua figura si inserisce nella lunga tradizione – che attraversa l’Antichità e il Medioevo – delle donne attive in professioni mediche. La sua eccezionalità è dovuta al fatto di aver scritto il proprio insegnamento, ponendolo sul piano di un sapere tramandabile.
Fu autrice di molte opere mediche, la più importante è il De Passionibus Mulierum Curandarum (sulle malattie delle donne), conosciuto anche come Trotula Maggiore. Un altro lavoro di rilievo, scritto da Trotula fu il De Ornatu Mulierum (circa i cosmetici femminili), noto anche come Trotula Minor, in cui lei insegna alle donne come conservare e migliorare la loro bellezza e il trattamento di malattie della pelle, attraverso una serie di precetti, consigli e rimedi naturali. Il suo interesse principale fu quello di alleviare la sofferenza delle donne e di preservarne anche il benessere fisico. Questo era un aspetto ricorrente nei suoi testi: secondo Trotula la bellezza delle donne ha a che fare con la filosofia della natura, alla quale la sua scienza medica si ispira: la bellezza è il segno di un corpo sano e in armonia con l’universo.Il suo trattato De Passionibus Mulierium Curandarum, fu pubblicato nel 1100 ed è stato un testo di rilievo fino a quando non fu operata la prima revisione significativa agli inizi del 1600. Trotula era sposata con un medico di nome John Platearius. Ebbero due figli, Matteo e Giovanni, che divennero anche loro apprezzati medici. Durante la vita, Trotula fu insignita del nome di Magistra Mulier Sapiens (L’insegnante donna saggia). La sua reputazione era molto alta nel Medioevo, giacchè il suo nome è stato citato anche in ” The Canterbury Tales ” di Geoffrey Chaucer (1388-1400). Nella prima metà del XIX secolo fu, persino, coniata una preziosa medaglia di bronzo in suo onore.
Rosetta Papa
Rosetta Papa, ginecologa, è nata e vive a Napoli. Ha lavorato 40 anni nella sanità pubblica, nel 1981 ha aperto uno dei primi Consultori Familiari, nella periferia nord della città, una zona a forte rischio socio sanitario. Ha ricoperto incarichi prestigiosi all’interno della ASL Napoli1, dove da direttrice della UO Complessa Salute Donna è stata responsabile dei Programmi di Screening oncologico, del Percorso per l’applicazione della legge 194, è stata membro del Comitato Percorso Nascita della Regione Campania e del Comitato Tecnico Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito del Progetto per la Riqualificazione e Potenziamento dei Consultori Familiari. Convinta sostenitrice della importanza di informare per formare le donne sui diritti di salute riproduttiva, troppo spesso negati, ha scritto due saggi a carattere divulgativo, il primo insieme con la neonatologa Roberta Arsieri, sull’eccessivo ricorso in Campania al taglio cesareo inappropriato dal titolo Stringo i denti e diranno che rido. Ovvero l’accidentato percorso nascita in Campania- Guida Ed 2005, il secondo sulle criticità al Sud relative alla tutela della salute riproduttiva e sessuale, dal titolo La Ragazza con il piercing al naso: Donne a sud della salute –Albatros Ed anno 2013 ed infine nel 2023, edito da Guida ha pubblicato il saggio Disuguali, sulle disuguaglianze in salute tra Nord e Sud del nostro Paese. Attualmente è docente al Master I e II Livello “Management e Coordinamento dei Servizi Sanitari e Socio-Sanitari” presso il Dipartimento di Scienze Sociali -Università Federico II-Napoli. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno.
L’empowerment femminile oggi, un esempio: La Buvette di Eva
“È un’impresa dire no alla violenza” è il payoff della Cooperativa sociale EVA che da anni investe sull’orientamento e inserimento lavorativo di donne in uscita dalla violenza. Nata nel 1999 in provincia di Caserta con la mission specifica di prevenire e contrastare la violenza maschile sulle donne gestendo centri antiviolenza e case rifugio, nel corso degli anni ha ampliato il proprio campo di azione e trasformazione culturale con la gemmazione di vere e proprie “piccole imprese” che condensano in se stesse una serie di caratteristiche e valori guida che sono il frutto di un lavoro più che ventennale all’insegna del cambiamento culturale, della rimozione delle disuguaglianze di genere e della promozione di un’economia sociale inclusiva, circolare e sostenibile. La prima è Le Ghiottonerie di Casa Lorena: nata nel 2012 in un bene confiscato alla criminalità organizzata a Casal di Principe, è un laboratorio che realizza catering, confetture e prodotti da forno. La seconda, EvaLab, è un atelier sartoriale di moda etica nato nel 2020 in un altro bene confiscato alla criminalità organizzata. Ultima nata La buvette di Eva nelle due sedi del Teatro Nazionale di Napoli: nel 2022 è nata la prima caffetteria, quella nel foyer del Teatro Mercadante e nel 2023 quella nel Teatro San Ferdinando. Tutte queste attività sostengono i percorsi delle donne più vulnerabili attraverso la dignità e l’autonomia che solo un’occupazione concreta e stabile può dare, promuovono la legalità valorizzando i beni confiscati rendendoli simbolicamente e concretamente generativi di bellezza e opportunità, stimolano opportunità di sviluppo locale con una precisa attenzione alla sostenibilità ambientale e alle persone coinvolte. La giustizia sociale e quella ambientale sono infatti le due macrocategorie attraverso le quali poter leggere l’intero impianto di attività messe in campo da EVA che a oggi da occupazione a 45 donne, tra centri antiviolenza, case rifugio, attività per l’inserimento lavorativo, coordinamento e direzione.
La domanda lecita che tanti e tante in questi anni ci hanno fatto è stata “Da dove nasce l’idea di porsi sul mercato attraverso i laboratori per l’inserimento lavorativo il cui obiettivo prioritario è dare occupazione e formazione a donne in uscita dalla violenza, in una maniera certamente diversa, alternativa, rispettosa delle persone, ma collocandosi pur sempre sul mercato, inseguendo una sostenibilità che non è solo ambientale ma anche finanziaria?”. La risposta è semplice: l’idea nasce dal bisogno.
Le donne incontrate nel corso di questi venti e più anni nei centri antiviolenza e nelle case rifugio della Cooperativa EVA provengono dai più diversi background economici e sociali proprio perché la violenza è un fenomeno trasversale. E’ innegabile però che, lavorando in una regione come la Campania dove il tasso di occupazione femminile è al 34,6% (dati ISTAT), una buona parte delle donne che abbiamo sostenuto attraverso i centri antiviolenza, oltre ad aver subito violenza nei contesti familiari, non ha completato gli studi dell’obbligo, non dispone della patente di guida, non ha avuto esperienze lavorative dignitose, non ha un conto corrente personale. Inoltre, la relazione maltrattante tende ad assorbire tutte le sue energie, minando lucidità e autostima e impedendo di coltivare interessi e spazi di crescita personale e professionale.
Prendendo a prestito gli studi di Martha Nussbaum e di Arjun Appadurai che descrivono come i soggetti più svantaggiati scontino un orizzonte di aspirazioni limitato poiché non riescono a immaginare un futuro diverso e non si riconoscono risorse interne per realizzarlo, le donne che si ritrovano ad affrontare la violenza si autoimpongono limiti per le proprie aspettative e accettano situazioni sfavorevoli che confermano o accrescono il livello di deprivazione e di povertà, concentrando le scarse energie sulla propria sopravvivenza.

Pertanto, nei Centri antiviolenza e nelle Case rifugio un grosso impegno delle operatrici resta proprio quello di aiutare le donne a credere in se stesse e tornare a sognare per se stesse un cambiamento, un miglioramento, un futuro più soddisfacente. Quelli delle operatrici dei centri antiviolenza sono interventi volti non alla semplice accoglienza delle donne che hanno subito violenza quanto alla valorizzazione delle loro risorse interne attraverso articolati percorsi di empowerment. Tutte le donne occupate nei laboratori per l’inserimento lavorativo hanno concluso un percorso con le operatrici presso un centro antiviolenza, hanno rielaborato la propria storia e ritessuto i fili della propria vita in una nuova trama. Al lavoro hanno avuto modo di sperimentarsi in mansioni inizialmente elementari e semplici e via via più complesse, con un approccio accogliente, non giudicante, empatico da parte delle operatrici sempre presenti e “in ascolto” del gruppo di lavoro. In un percorso complesso e quasi mai lineare, le donne sono riuscite ad integrarsi, a migliorare le proprie competenze, talvolta ad imparare la puntualità, il rispetto dei compiti e la diligenza. Anche quelle donne che hanno proseguito la vita lavorativa altrove, hanno avuto la possibilità di sperimentarsi positivamente al lavoro e di far tesoro dell’esperienza acquisita per proporsi in altri contesti con delle competenze chiare e spendibili e una nuova fiducia in se stesse.
Importante per tutte è stato il rispecchiamento della propria storia dentro le storie delle altre, dove le similitudini sono ricchezze che si intrecciano in danze corali come in un quadro di Matisse, moltiplicando riconoscimenti e legami profondi fino a sentire che la storia di una è la storia di tutte. La possibilità di valorizzare in ognuna le proprie risorse interne dimenticate o mai riconosciute, congiuntamente al rinforzo delle capacità personali, risulta essere il punto di ripartenza nella riappropriazione della propria vita. In questo percorso si determina la libertà delle donne nel perseguire, ognuna a suo modo, la vita che desiderano, esprimendo e realizzando la propria soggettività, in una dinamica di realizzazione e trasformazione di sé dove al centro è la singola donna con la sua soggettività, la sua storia in una prospettiva in cui anche il diritto alla speranza e alla felicità è contemplato. Intraprendere questo percorso di rinascita in un contesto pieno di cultura e bellezza possiede un elevatissimo valore simbolico.
Le due buvette di EVA, la prima nata nel 2022 al Teatro Mercadante e la seconda nata nel 2023 al Teatro San Ferdinando, realizzano la possibilità di mostrare a un vastissimo pubblico che dalla violenza si può uscire e a raccontarlo sono proprio le protagoniste che dal loro magnifico palcoscenico, un elegante bancone nero e oro, col sorriso e la voglia di fare bene il proprio lavoro parlano di se stesse generosamente, raccontano come hanno riscritto la propria storia attraverso il sostegno di un centro antiviolenza prima e successivamente con la piena autonomia economica, si espongono senza reticenze e con coraggio ribaltando una narrazione diffusa, sbagliata e piena di stereotipi che le inchioda ancora ingiustamente alla figura di vittime. A rendere possibile la nascita delle due buvette, che sono diventate luoghi densi di politica trasformativa e culturale, è stato un intenso lavoro di rete, alleanze importanti tra mondi diversi: la prima buvette, quella del Teatro Mercadante, ha visto la luce grazie a una donazione derivante da “Una nessuna centomila”, il megaconcerto di alcune tra le più grandi artiste italiane (Laura Pausini, Elisa, Giorgia, Emma, Alessandra Amoroso, Gianna Nannini) capitanate da Fiorella Mannoia che si è tenuto l'11 giugno 2022 alla RCF Arena di Reggio Emilia.
L’apertura de La buvette di EVA nel Teatro San Ferdinando è stata finanziata da Fondazione Con il Sud attraverso un progetto più articolato, anch’esso a sostegno delle donne, che si chiama “R.O.S.E Reti per l’occupazione, la salute e l’empowerment” che vede un ampio partenariato e diverse altre attività, tra le quali il laboratorio teatrale “A Tavola” condotto da Marina Rippa dell’ associazione Femminile Plurale di cui è stato offerto un “assaggio scenico” lo scorso 25 giugno nel foyer del Teatro San Ferdinando. Un intenso lavoro di rete è alla base anche di EvaLab, il laboratorio di ethical fashion nato all’interno di un bene confiscato che gode del supporto della prof. Maddalena Marciano docente di fashion design dell’ Accademia di Belle Arti di Napoli, di Giusy Giustino già direttrice della sartoria del Teatro San Carlo, della Maison Gucci che ha donato al laboratorio rotoli di preziosa seta, della dott.ssa Maffei direttrice della Reggia di Caserta.
